Porte aperte e luci accese
di val.

Abbiamo parlato coi serlesi, che in paese da un minuto all'altro aspettano con ansia novità sui destini di questa ragazzina, dispersa su un territorio che loro conoscono bene



«Che angoscia, mi sembra impossibile che non l’abbiano ancora trovata: certo che se è andata verso “Ma de là” dove ci sono le rocce a strapiombo sopra Caino, oppure verso la “Madonna de Caì”, dove c’è il passaggio pericolosissimo del “Canal del Luf”, non la trovano più».

Martina ha 75 anni, è rimasta vedova del suo Angelo “Russo” Sorsoli da un mese e i boschi di Cariadeghe li conosce come le sue tasche e forse anche meglio: non passa giorno, quasi, senza che vi si inoltri, soprattutto quando è tempo di funghi.

Per questo l’abbiamo cercata, perché è fra coloro che conoscono meglio l’ambiente dove Iuschra è scomparsa.
E anche per capire cosa ne pensano i serlesi di tutta questa vicenda.

La incontriamo coi figli Alfio e Giusy e col nipote Giovanni
che di anni ne ha 33, per il quale stravede.
Lo si nota da come lo guarda e da come gli sorride. Casa sua è proprio sotto San Bartolomeo, lungo una delle vie d’accesso all’Altopiano.

«Ieri è passato di qui uno con la divisa e glie l’ho detto: accendete una luce su al monastero di notte, che se quella ragazzina la vede magari si avvicina».

«Mi hanno ascoltata - aggiunge sorridendo, ma solo per un po’ -. Sa che non riusciamo a dormire qui in paese, a sapere che quella bambina potrebbe essere qua attorno, rannicchiata da qualche parte.
Così lasciamo la porta di casa aperta, anche quella della casina nel bosco, con una luce accesa che magari ci viene a dormire».

La speranza è l’ultima a morire: anche se sono ormai trascorsi tre giorni l’idea è che possa essere ancora viva.
«Forse non dovrei dirlo, ma non ci fa così impressione il sapere di bambini lontani che muoiono, come averne uno qui vicino in grande difficoltà» ci dice Alfio.

Che poi aggiunge: «E’ stato un grande errore, dopo i primi due giorni di ricerche, tenere lontani i serlesi. E parlo dei cercatori di funghi o dei cacciatori che sono i veri conoscitori di queste montagne, soprattutto sanno tutti i pericoli».

I buchi appunto, le grotte diciamo: «Ma no! Quelle non sono un problema, non lo sono mai state nemmeno per i nostri figli: ce n’è qualcuna pericolosa, ma da tutt’altra parte, dove è stata vista la ragazzina ce ne sono poche e sono tutte chiuse o ben segnalate, impossibile finirci dentro».

Diciamo ad Alfio che chi coordina le ricerche si è ritrovato ad avere a che fare con troppi volontari da gestire e che per questo motivo hanno deciso di proseguire solo con personale che già appartiene a gruppi organizzati e di rimandare indietro i “civili”.

«Brava gente quelli della Protezione civile di Serle – insiste -, però fra loro quelli che conoscono davvero Cariadeghe si contano sulle dita di una mano, non dovevano tenerci fuori».

Poi l’dea, balzana quanto si vuole, certo dettata dalla consuetudine ad essere pratici e condivisa da tutti: «Senza la minima intenzione di fare un paragone con gli animali, per carità, ma non è possibile dotare questi ragazzini, difficili da gestire, di un braccialetto con microchip?».

.in foto: Martina; Alfio e Giovanni.


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