Fenomenologia di una «non» squadra
di Luca Rota

Dalla cacciata di Allegri ad oggi, sono trascorsi quattro anni. In questo lungo intermezzo, sulla panchina rossonera si sono succeduti diversi profili tecnici, forse troppi, con tanti saluti ad un passato che definire glorioso sarebbe veramente riduttivo. Cos’è oggi quello che continuiamo a chiamare A.C. Milan?


A primo impatto e visti i risultati, sembrerebbe una provinciale costruita col budget di una grande. In campo però ci vanno la voglia ed il sacrificio, non solo il fisico ed i nomi stampati sulla maglie. Prerogative imprescindibili per una provinciale che si rispetti. Allora potremmo definirlo come una provinciale con la spocchia da grande, ma che grande non è. Diventa perciò inutile cambiare allenatore, per giunta bravo, se manca tutto ciò che dovrebbe esserci dietro ad esso. Per non parlare di quelli già “bruciati” nelle passate stagioni, di certo non gente inadatta.

Come può una società nell’arco di così poco tempo, passare dall’essere la più vincente al mondo al diventare una polisportiva qualunque, svogliata e remissiva? Gli uomini non fanno miracoli, questo credo sia assodato. André Silva, Kalinic, Kessie, Biglia, Musacchio e per ultimo Bonucci, uniti ai Bonaventura, Romagnoli, Suso, Conti, quantomeno avrebbero lottato e credo anche bene, per una sistemazione tra il quarto ed il primo posto.

Ma se giochi così, e soprattutto se cambi così (insensato mandare via Montella), non puoi che ambire (ben che vada) alla qualificazione in Europa League come l’anno precedente; dove però non avevi speso 150 milioni di euro per rifare il parco giocatori, e dove ancora non avevi concesso ad uno come Donnarumma di fare il bello ed il cattivo tempo. E naturalmente (cosa non di poco conto) Atalanta, Torino e Fiorentina permettendo..

È dalla testa, a mio avviso, che si dovrebbe ripartire. Perché il gioco e i nomi si possono dare, comprare e/o inventare, al massimo persino rivoluzionarli. Ma la testa, quella dipende da chi la porta sul collo. E non è un caso se ottimi giocatori della scorsa annata, e delle passate annate, d’improvviso li ritroviamo “scarsi” in quel di Milanello, o al contrario (vedi De Sciglio) bravi e assidui altrove. Non si diventa brocchi in tre mesi (o almeno non così brocchi), così come non si diventa bravi all’improvviso.

Il problema risiede lì, dove prima risiedeva l’antidoto vincente che portava il Diavolo perennemente tra le prime quattro d’Europa. Dipende da chi sta dietro alle cose e le gestisce. Ricordate l’Inter di Moratti? Come mai vinse (tralasciando la “non presenza” di rivali in Italia) soltanto quando il tutto venne affidato al solo Mourinho?

Se fossi in Mirabelli e Fassone,
a gennaio non passerei alle “cose formali”, e soprattutto non acquisterei altri calciatori. E visto che ci siamo, non manderei via nemmeno il buon Gattuso, dato che ormai l’hanno accomodato in panchina. Umilmente ripartirei daccapo, programmerei, e lavorerei sulle menti di chi c’è e dovrebbe dare molto di più. O magari farei visonare quanto fatto da chi nemmeno dieci anni addietro, stazionava lì dove adesso siedono.

Perché perdere ci sta, ma non in quel modo, se porti quel nome e sei beneficiario di quella storia sortiva. Poi per sfizio, più che per diletto, riscrivendo e destrutturando Pasolini direi loro: “Tu Milan ridiventa squadra / e lascia che l’appassionato ti ammiri”.


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