Buco del frate a rischio, Paitone è sotto accusa
Di recente si è molto parlato del possibile ampliamento degli Ambiti estrattivi fra Gavardo, Prevalle e Paitone sui pendii dei monti Budellone e Paitone, ma soprattutto attorno alla grotta carsica (e monumento naturale) del «Buco del frate».

Di recente si è molto parlato del possibile ampliamento degli Ate) 9 e 24: gli ambiti estrattivi (il primo appena avviato, l’altro attivo da anni) posti fra Gavardo, Prevalle e Paitone sui pendii dei monti Budellone e Paitone, ma soprattutto attorno alla grotta carsica (e monumento naturale) del «Buco del frate». La questione è datata, ma ha trovato nuova ribalta quando la «Fassa Bortolo», titolare dei siti, ha chiesto alla Regione di collegare le cave con un nastro trasportatore.
Gavardo e Prevalle si sono opposti con fermezza, temendo una devastante fusione degli ambiti, e per ora non si è mosso nulla; ma la situazione continua a preoccupare amministratori e comitati civici.

Molto attivo in questo senso è il gruppo «No alla cava» di Prevalle guidato dal consigliere comunale Amilcare Ziglioli, il quale sottolinea «il grande impegno profuso in sede istituzionale per fermare la Fassa». L’elenco dei motivi è lungo. «Un esempio? L’Ate 24, con il continuo sparo di mine, è un dramma per Pospesio, la frazione di Paitone su cui si affaccia - ricorda Ziglioli -, e il frantoio che contiene immette nell’aria enormi quantitativi di polveri. Esistono inoltre concreti rischi di crollo per il Buco del frate e di inquinamento delle falde acquifere».
Tutti problemi che potrebbero moltiplicarsi con un eventuale ampliamento. «Il fatto è che la Fassa ha i titoli legali per fare ciò che sta facendo - prosegue Ziglioli -. L’obiettivo dunque è quello di tenere alta l’attenzione, e bisogna cambiare la legge regionale in materia».

La situazione viene seguita anche da un altro comitato, il «Büs del frà», vicino a Legambiente. Il portavoce Gianni Vezzoni lancia accuse pesanti soprattutto contro il Comune di Paitone, l’unico a non essersi pronunciato sul nastro trasportatore: «Viene gestito tutto secondo interessi di tipo immobiliare che coinvolgono anche il sindaco. Esaurito il suolo da sfruttare in pianura si assalta la montagna».

Sulla stessa linea il comitato «L’acqua di Prevalle». Come spiega uno dei fondatori, Mariano Mazzacani, «la questione cave non è la nostra materia, ma è doveroso lavorarci e lo faremo anche con proteste pubbliche se sarà necessario. È ora di fare qualcosa di concreto».
Ciò che emerge dalle valutazioni dei tre gruppi è la preoccupante visione globale: «Da Rezzato alla Valsabbia c’è un filo conduttore - conclude Ziglioli -: l’eccessivo sfruttamento ambientale. Va cambiato un intero sistema».

di Luca Cortini da Bresciaoggi
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