30 anni di Afterhours ad Arco, aspettando la Festa di Radio Onda d'Urto
di Alfredo Cadenelli

Sul palco del Climbing Stadium, lo scorso 12 agosto, la band di Manuel Agnelli ha ripercorso le tappe fondamentali della sua trentennale carriera in un concerto ad alto tasso di emozioni rock ’n roll


Dopo l’ottima apertura di Edda, sempre più a suo agio nei panni di rocker sui generis, obliquo ed inafferrabile, salgono sul palco quando ancora risuona la musica di sottofondo, imbracciano gli strumenti e attaccano Strategie.
La trappola del divismo è dietro l’angolo, gli Afterhours lo sanno fin troppo bene e allora, per celebrare degnamente trent’anni di onorata carriera, fanno la cosa giusta da fare: suonano per due ore filate regalando al loro pubblico un concerto mozzafiato, muscolare, rock nel senso più fisico, energico ed autentico del termine.
   
La scaletta è un salto triplo fra brani più o meno noti della band, dai classici Male di Miele e Rapace (entrambi ventenni, da Hai paura del buio? del 1997) ai più recenti Il sangue di Giuda, Padania, Riprendere Berlino.
C’è Il paese è reale, brano presentato al Festival di Sanremo nel 2009, e Tutto domani, un pezzo (da I milanesi ammazzano il sabato, disco del 2008) che lo stesso Manuel Agnelli ammette di aver eseguito raramente dal vivo.
Ma gli Afterhours sono anche, e soprattutto, una band che continua fare ottimi dischi: a Folfiri o Folfox, loro undicesimo lavoro in studio uscito a giugno dello scorso anno, è dedicata una sezione a sé del concerto, che alterna l’intimità di brani come Non voglio ritrovare il tuo nome o L’odore della giacca di mio padre alle esplosioni rabbiose di Nè pani nè pesci e Il mio popolo si fa, sarcastico inno anti-generazionale e amara riflessione sul presente e dei “non più giovani” d’oggi.
Quello che non c'è, dall’omonimo capolavoro del 2001, chiude la prima parte del concerto, e ad un altro splendido brano da quel disco, Bye Bye Bombay, sono affidati i saluti finali, dopo due generosissimi bis da cui traspare se possibile ancor più genuinamente il sano, solido, romantico e spaccone animo rock ‘n roll della band.

È forse la migliore formazione degli Afterhours di sempre, con i recenti innesti, preziosissimi, di Stefano Pilia (Massimo Volume, In Zaire…) alle chitarre e del gigante Fabio Rondanini (Calibro 35, Niccolò Fabi…) alla batteria.

I quasi-veterani Rodrigo d’Erasmo al violino, Roberto Dell’Era al basso e Xavier Iriondo alle chitarre noise completano ed amalgamano il suono, ognuno perfettamente calato nel proprio ruolo, musicale e non, sin dalla scelta dell’outfit.
Al termine del live, dopo le presentazioni finali di tutta la band, è Dell’Era a introdurre il frontman, il capobanda, l’unico ad aver vissuto tutti e trenta gli anni di militanza rock celebrati da questo concerto: Manuel Agnelli.

Gli Afterhours sono una sua creatura, splendida e viva, che ha saputo curare e riplasmare con intelligenza ogni qualvolta risultasse necessario, osando con lungimiranza: sul palco Manuel è un leader carismatico e grintoso, tira le fila del concerto suonando e cantando le canzoni che ha scritto lui, autentico in ogni gesto e in ogni parola.

In quelle amare e dolorose di Grande, dedicate al padre recentemente scomparso: “Avevamo un patto io e te e l'hai tradito tu perché io diventassi grande”, così come in quelle ironiche e a loro modo profetiche della Sinfonia dei Topi, brano del 2001 dove intona beffardo: “E finirla di sentire che mi sto prostituendo, perché faccio ciò che voglio e mi fa sentire meglio…”
Perché forse non è solo un, ottimo ed adrenalinico, rock ‘n roll...

Le fotografie che corredano l’articolo sono state realizzate da Simone Cargnoni, bravissimo fotografo nato a Treviso Bresciano: trovate alcuni dei suoi scatti sul sito web simonecargnoni.com.

Gli Afterhours saranno ospiti insieme a Paolo Benvegnù della penultima serata della Festa di Radio Onda d’Urto a Brescia, questo venerdì 25 agosto; l’ingresso è di 15 € dalle ore 19.

Foto di Simone Cargnoni

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