Il Museo del Ferro di Odolo
di Emanuele Busi

Il viaggio di Emanuele Busi nella stroia della Valle Sabbia alla ricerca delle peculiarità che rendono interessante l'idea di costituire un ecomuseo, passa oggi da Odolo

 
Approfittando della festività appena trascorsa che celebra il Lavoro ed i lavoratori, vorrei trattare proprio questo argomento, facendo, durante il nostro ipotetico viaggio ecomuseale, tappa a Odolo, mio comune d’origine, paese da sempre considerato (nel bene e nel male) culla dell’operosità e dell’industria valsabbina.

L’indole lavorativa, il “sapersi sporcare le mani”, sono da secoli caratteristiche proprie degli abitanti della Valle Sabbia, “industri valligiani”, ecco perché, nella costruzione di questo ipotetico ecomuseo che andiamo tracciando da alcune settimane, bisognerà tenere in seria considerazione questo aspetto.

Come ho già scritto nel mio primo articolo di questo blog,
l’Ecomuseo sarà da stimolo per recuperare e valorizzare beni sia materiali che, come in questo caso, immateriali.
Ben vengano quindi iniziative di recupero archeologico industriale o musei che ci ricordino la nostra secolare predisposizione al lavoro (come ad esempio quelli di Odolo e di Vestone).

Facciamo dunque un brevissimo excursus storico…
In Valle Sabbia, l’attitudine a lavorare il ferro ed altri metalli ha origini antichissime, abilità resa necessaria per soddisfare il fabbisogno di attrezzi agricoli ed armi, commerciati anche al di fuori dei confini valsabbini: Bagolino produceva armi per la Serenissima, Firenze, Milano, Parma, Torino; Vobarno le ancore per la flotta veneziana; Odolo era rinomato per vanghe, badili, zappe, richieste in Toscana e nel sud Italia.

Nel corso del XVIII secolo le attività proseguirono ma i prodotti risultavano più scadenti.
A causa delle imposte fiscali operate da Venezia che colpirono questa produzione, le industrie iniziarono a dare i primi segnali di debolezza, che culminarono con la crisi del settore nei primi anni del XIX secolo: tutti gli altiforni vennero chiusi e solo poche decine di fucine sopravvissero in Valle.

La ripresa si inizia a vedere nei primi anni del Novecento con l’arrivo di nuovi capitali e tecnologie.
A Odolo, nel 1906, si producono i grossi badili da trincea detti zanardelli, che prendono il nome dal ministro bresciano che li commissionò per l’esercito italiano .

Dell’industria odolese parla anche il Catastico Bresciano (1608-1610) di Da Lezze: “Odolo comune con 13 fusine grosse come minute, […] nelle quali si lavorano qualunque sorte di ferramenti appropriati all’agricoltura et in particolare li badili che in altre parti del Bresciano non se ne fabbricano. […] Vi abitano 1200 anime, che attendono all’agricoltura, alli carboni et alla fusina”. 

Non stupisce, quindi, che a Odolo sia particolarmente venerato San Lorenzo
, protettore degli ustionati, del quale sorge una chiesetta della prima metà del Seicento nel quartiere omonimo, in cui vi era la maggior concentrazione di fucine.
La predisposizione alla lavorazione del ferro è viva tutt’ora in questo comune, con l’unica differenza che la moderna siderurgia ha soppiantato i magli.

Odolo ha reso omaggio alla sua storia
, non solo inserendo nel proprio stemma l’incudine, il piccone, il badile ed il forcone, oggetti di cui era produttore, ma anche inaugurando nel 2007 il Museo del ferro.
La sede di tale istituzione è l’antica fucina del quartiere di Pamparane, la quale, dopo la chiusura, nel 1996, è stata donata dall’imprenditore Dario Leali al comune di Odolo con la precisa richiesta di trasformarla nel museo che oggi è.
 
 
170502museo_ferro.jpg