Palme e Christo, Romanino e Moretto, in scena la critica d'arte di Vittorio Sgarbi
di Fabio Gafforini

Si è tenuto venerdì scorso l’incontro con il critico d’arte ferrarese presso un Auditorium “Mario Rigoni Stern” gremito di vestonesi e valsabbini. E Vittorio Sgarbi, prima di arrivare alla sua lezione di arte, ne ha avuto un po’ per tutti


“Egli è qui”. Con questo profetico annuncio è Pino Casamassima, direttore artistico del Teatro Comunale di Vestone, ad introdurre Vittorio Sgarbi sul palco. Il noto critico d’arte si è palesato alla platea che lo ha accolto col primo applauso scrosciante.

Sgarbi saluta, fa riferimento alle peripezie che lo hanno riportato in Valle Sabbia, e poi fa una lunga invettiva, che occupa metà del suo intervento di quasi due ore, dove non risparmia nessuno.

Primo a cadere sotto gli attacchi della sua vis polemica è Christo, protagonista del 2016 con la sua installazione “Floating Piers” sul lago d’Iseo: “Ormai l’arte è tutto, anche qualcosa che non fa più pensare e provare sentimenti, ma qualcosa che cambia l’ordine delle cose”, riferendosi all’opera dell’artista bulgaro come a una grande invenzione di comunicazione.

“Quanti hanno percorso la passerella e non hanno invece visto la Cappella della Madonna della Neve affrescata dal Romanino a Pisogne, soli 5 chilometri da lì?! Quelle sono opere sublimi che semplicemente richiedevano una passerella mentale”. E insulta chi la passerella mentale non ha saputo compierla.

L’affondo è poi verso i leghisti, definiti “Anche dolci persone. Sono dei bevitori di vino all’ultimo stadio” facendo il verso a Umberto Bossi e innalzandosi a genitore del termine Padania, con attenzione però all’accento sulla i: “È come Bulgaria e Romania, dovrebbe infatti essere Padanìa”.

Non poteva mancare l’accenno alle palme di Piazza Duomo: “Non sapevano come riportare Craxi a Milano e allora hanno ben pensato di inscenare una Hammamet e sentirsi più vicini. E i leghisti su ogni palma ci vedono un immigrato arrampicatosi sopra”. Per arrivare al sindaco di Roma, Virginia Raggi, definita una “depensante” e “brutta copia dell’Ambra Angiolini di Non è la Rai”.

Fine degli attacchi ad personam, inizio della lectio sul Rinascimento Bresciano, vero protagonista della serata. Anzi no, perché il termine “Rinascimento” dà la possibilità a Sgarbi di introdurre il suo nuovo movimento politico: “Oggi la politica è priva di ideologie, di pensiero, di critica. Bisogna avere le idee chiare su quello che è l’Italia e il suo destino, bisogna fare della Cultura il proprio ideale. Nasce quindi da questa idea il movimento “Rinascimento”, poiché l’umanità non ha espresso nulla di più grande di questo periodo storico, artistico, culturale. Nell’arte noi chiamiamo Italia e definiamo italiano ciò che non esisteva ancora. Quando sulla carta non c’era l’unità d’Italia, nell’arte c’era già”.

Standing ovation quando il professore, e onorevole, pronuncia la frase “Siamo il paese più bello e più ricco del mondo”. Ricordando il centesimo anniversario del saggio del prof. Longhi sulla pittura bresciana del Rinascimento e sui suoi protagonisti, precursori della naturalezza e del verismo del Caravaggio, pubblicato nel 1917, inizia il magnifico viaggio nel rinascimento bresciano. Foppa, Romanino, Savoldo, per arrivare a Moretto e Moroni: immagini suggestive scorrono alle spalle del critico, che le spiega con passione e rara maestria.

Ma a questo punto l’interesse della maggior parte della platea è ormai scemato (gli sbadigli in sala si sono fatti sentire fin troppo presto), con i più forse interessati al “personaggio” Sgarbi, alle sue invettive, alle sue parolacce, all’acume e alla causticità, piuttosto che alle sue doti di critico d’arte, alla fine capacità di decifrare gli aspetti più nascosti di un artista, di scovare i dettagli più impensati, alla capacità di lettura di ogni singola piega, di ogni singolo panneggio. Uno dei migliori, se non il migliore, critico oggi in Italia. Critico, in tutti i sensi.
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