La «religione» dei consumi
di Valerio Corradi

Quanti sono i supermercati e gli ipermercati della provincia di Brescia? La diffusione di centri per la grande distribuzione commerciale è un fenomeno che tocca solo il bresciano? Quali sono i risvolti socio-culturali?

 
L’Osservatorio sul commercio del Ministero dello sviluppo economico segnala che al 1° gennaio 2016 in Lombardia si contavano 1.675 supermercati, vale a dire esercizi al dettaglio con superficie di vendita uguale o superiore a 400 mq (il 16,3% di tutti i supermercati italiani).

Rispetto all’anno precedente è cresciuto il numero di supermercati sia nel contesto lombardo (+1,1%) sia nel contesto nazionale (+1,4%).
Il dato complessivo però nasconde una situazione molto variegata a livello provinciale. Alcune province perdono strutture (es. Monza e Brianza, Como) altre invece sono interessate da un incremento (es. Brescia e Bergamo). 

Nel bresciano sono presenti 286 supermercati nei quali lavorano oltre 4.700 addetti di cui il 60% sono donne.
Sempre nella nostra provincia sono aperti 36 ipermercati (circa 3 mila i dipendenti) vale a dire esercizi al dettaglio con superficie di vendita superiore a 2.500 mq che arrivano a contenere cinema multisala, ristoranti, palestre, parchi gioco per bambini, bar, librerie, edicole, negozi di gadget e punti vendita anche di tipo etnico. 

Il numero di supermercati e ipermercati è aumentato negli ultimi 10 anni
a testimonianza di un investimento sempre più consistente delle grande distribuzione organizzata in provincia di Brescia e non solo. 
La presenza dei grandi centri commerciali non cambia solo le coordinate spaziali sul territorio (es. creazione di nuovi punti di riferimento) ma modifica anche il modo di vivere il tempo. Si tende ormai a un’apertura 24 ore su 24 e 365 giorni all’anno che estende a tutto le ore e a tutti i momenti dell’anno la possibilità di consumare. 

Di pari passo stanno cambiando gli orientamenti al consumo dei cittadini che si affidano in misura importante ai grandi centri commerciali pur non escludendo del tutto i tradizionali piccoli negozi soprattutto nei centri minori. 
Notando questo fenomeno, qualcuno osserva che il consumo è ormai diventato una nuova religione per i cittadini al punto da avere propri luoghi di culto (gli ipermercati), rituali (la spesa settimanale), pellegrinaggi (inaugurazioni e lancio di nuovi prodotti). simboli e cerimonie (l’ostentazione della merce).

A parte alcune esperienze circoscritte, sembra essere difficile trovare alternative alla società del consumo che continua a vedere nella “soddisfazione commerciale” la corsia preferenziale per una presunta felicità individuale e sociale.

Un eventuale e generale cambio di orientamento non potrà comportare la rinuncia al benessere materiale, ma dovrà essere collegato alla riscoperta di scopi e significati quasi del tutto smarriti e all’invenzione di nuove prospettive e priorità individuali e sociali.
 
 
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