Futuro in salita
Cambiare per sopravvivere o venire sacrificate sull’altare dei costi della politica da assottigliare. È il bivio di fronte al quale si trovano le Comunità montane dopo la norma della Finanziaria che impone una riorganizzazione degli enti montani.

Una storia iniziata nei primi anni ’70 e che rischia una brusca interruzione. O, quantomeno, un pesante ridimensionamento. Nell’occhio del ciclone le Comunità montane, enti locali... in altura che la Finanziaria vorrebbe riorganizzate sull’altare dei tagli alla spesa pubblica. Vittime sacrificali di una gestione troppo al risparmio o, al contrario, organi importanti per il presidio territoriale. Una risposta si può trovare grazie ad un breve viaggio nell’universo Comunità montana.
FUNZIONI. Sul nodo funzioni la «letteratura» di riferimento è il Testo unico degli enti locali, che affida alle Comunità montane il compito di valorizzare il territorio montano ma anche «la gestione di funzioni conferite e l’esercizio associato delle funzioni comunali». L’esegesi normativa è facile: possono occuparsi di tutela dei boschi, delle strade ma anche di questioni delicate come i trasporti, il catasto o i servizi sociali. «Le Comunità montane - sottolinea il vicepresidente vicario dell’Unione nazionale Comuni, Comunità, Enti montani Valerio Prignachi - sono un tessuto connettivo fondamentale, in grado di mediare tra istituzioni quali Regioni e Comuni, specie i più piccoli».
DENARI. Per mettere in pratica i propri compiti le Comunità montane hanno a disposizione un proprio budget che, Prignachi su questo non fa sconti, dipende in minima parte dalle casse dello Stato. «In Italia - spiega - le Comunità montane hanno una capacità di spesa pari a due miliardi di euro, a fronte di trasferimenti statali che non superano i 172 milioni». Il segreto si chiama «Unione europea, grazie ai bandi cui le Comunità partecipano per veicolare risorse sul territorio. Ma anche dalla Regione arrivano risorse. È come se agissero da agenzie di sviluppo territoriale».
TROPPE SIGLE. Tra le critiche che si possono muovere ai «sottolivelli istituzionali» che esistono sul territorio potrebbe rientrare anche quella dell’eccessivo affollamento di sigle: Bim, Ato, Unione Comuni. Una forzatura, è vero, ma è proprio in queste pieghe che la Finanziaria sembrerebbe voler trovare quelle emorragie di denaro da tamponare. Prignachi la pensa diversamente. «L’Uncem non rifiuta a priori una razionalizzazione, anzi, è da tempo che la propone. Non siamo innamorati del nome Comunità montane ma crediamo che, una volta rivisti determinati parametri, vada preservata la funzione di un organo non solo assembleare ma che sia in grado, rappresentando equamente tutti i Comuni, di prendere decisioni». In particolare il vicepresidente Uncem pensa «a casi di ottimizzazione ben riuscita: l’Alto Garda, ad esempio, dove ente Parco e Comunità montana coincidono. Se quest’ultima dovesse sparire sarebbe allora necessario creare un nuovo organismo per il parco. Sarebbe questo il risparmio?»
ESEMPIO BRESCIA. A livello provinciale sono cinque le Comunità montane. La specificità bresciana (e lombarda in generale) risiede essenzialmente sulla presenza di molti Comuni di piccole dimensioni. Situazione che presenta non poche criticità dal punto di vista organizzativo e delle funzioni, con costi spesso proibitivi che costringono (o suggeriscono) di cercare forme di associazione per smussare le asperità di bilanci deficitari o troppo esigui. Nel contempo però si pone il problema, e questo discorso vale anche a livello nazionale, di aggregazioni territoriali non sempre omogenee, di Comunità in cui convivono, giusto per fare un esempio, Salò e Tremosine, Irma e Gardone Valtrompia. Queste le fragilità del sistema attuale.
MONTANITÀ. Sempre facendo riferimento alla nuova normativa, Prignachi conviene sull’opportunità «di rivedere i criteri di appartenenza al territorio montano, concepiti negli anni ’50 anche in base alla necessità di garantire un sostegno ad aree disagiate. Ora che questo compito è passato alle Regioni mi auguro che si tenga conto delle omogeneità tra territori. L’importante è che questo processo di riorganizzazione tenga conto di un presidio irrinunciabile per le aree montane».

Rosario Rampulla dal Giornale di Brescia

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