Il centro scommerciale
di Ezio Gamberini

Per impossessarsi del carrello era necessario inserire una banconota da cinquecento euro, poi si entrava ed era possibile acquistare tutto ciò che si desiderava con uno sconto del tre per cento. Che occasione!


 
All’ingresso del centro scommerciale c’era un “vu cumprà” e allora, come accade qualche volta, molto raramente in realtà, ficcai la mano in tasca per allungargli qualcosa, con discrezione, ma in quell’occasione fu lui a infilarmi nel taschino della giacca una banconota da dieci euro: 

“Vai a berti un caffè, amico…”.   

A fianco del settore riservato ai bambini, costituito da un’enorme struttura che conteneva ogni tipo d’intrattenimento per i fanciulli, posto nel mezzo dei centocinquanta negozi ubicati nel centro scommerciale, vidi cinque o sei piccoli di sei-sette anni che avevano disegnato sul pavimento una decina di rettangoli numerati, e giocavano a “Cipana”.

Dopo qualche minuto passarono a “Strega comanda color”, e poi a “Rialzo”.
Un adulto si avvicinò a uno di loro, confabulò un attimo, dopo di che il bimbo cavò dalla tasca una banconota da cinquanta euro e gliela porse rimproverandolo:

“Questi sono gli ultimi, e quando hai finito, ce ne torniamo a casa!”.

Nel giro di dieci minuti l’episodio si ripeté altre due volte, con una mamma e un papà che andarono a batter cassa da altri due bambini, i quali, impegnati nei loro giochi, fecero come il primo: estrassero velocemente dalle loro tasche una banconota ciascuno e la consegnarono ai loro genitori, non prima di averli sgridati con vigore:

“Cinque minuti, non di più!”.

Incuriosito, li seguii e potei così scoprire che tutti i genitori di quei bambini si recavano nella sala delle macchinette e, dopo aver cambiato le banconote in monete da utilizzare per le slot, dilapidavano alla velocità della luce tutto quello che avevano ricevuto dai loro figli.

Girovagando per i negozi, m’incuriosì un’insegna luminosa sulla quale c’era scritto:

“Qui si vende sulla parola”. 
Entrai nel locale, e notai (sic!) due uomini seduti davanti a una scrivania occupata sull’altro lato da un signore azzimato, che evidentemente presiedeva la “cerimonia”: si trattava della compravendita di un appartamento, e il primo signore si alzò dalla sedia e pronunciò la formula prestabilita:

Io, che sono io, ve lo assicuro, nato un bel dì e abitante là, prometto di vendere al signore qui presente il mio appartamento. E’ mio, lo giuro davanti a Bob Dylan” e si sedette al suo posto.

E l’altro, quasi commosso, si alzò e replicò solennemente:

“Ed io, con promessa di rato et valido del mio operato (che possa vincere all’Enalotto in caso contrario), garantisco che domani mattina provvederò al pagamento dell’immobile, fino all’ultimo centesimo. Lo giuro davanti a Tex Willer”.

A quel punto si alzarono tutti e tre, si presero per mano e il “cerimoniere” ratificò la validità dell’operazione con la formula conclusiva:
Nel nome di Padre Brown, Gatto Silvestro e Blek Macigno, dichiaro valido il presente atto. Potete andare”, e congedò i due clienti. 

Cominciava a farsi tardi, volevo tornare a casa, ma prima entrai al supermercato per riempire il carrello della spesa. Oh, c’era il tre per cento di sconto su tutto!

Quando aprii il baule della mia autovettura
per riporre gli acquisti, si avvicinò il solito personaggio che, in cambio del denaro inserito nel carrello, ti aiuta a caricare le borse.
Era sceso da una Ferrari F12 Berlinetta, indossava un esclusivo caftano damascato cosparso di perle, Patek Philippe al polso e un paio di Prada ai piedi; dopo avermi aiutato, sfilò la banconota da cinquecento euro dal carrello e se la mise in tasca.
Estrasse dal borsello Louis Vuitton il blocchetto, una Parker d’oro tempestata di Swarovski e compilò la ricevuta, che mi consegnò con aria trionfale:

“Figuriamoci se non te la faccio; con quello che guadagno posso ben permettermi di pagare le tasse, fino all’ultimo centesimo!”.

Questo era troppo. Non avevo mai subito un simile affronto: la ricevuta, A ME !!!???
Persi le staffe e mi recai infuriato dal direttore del grande magazzino. Tempestai di pugni la porta del suo ufficio ed entrai, senza attendere il permesso di farlo.
Il direttore stava seduto sulla minuscola poltroncina e aveva un ghigno beffardo: era Topo Gigio!

Due settimane prima
, nel momento in cui si palesò l’eventualità che il prestigioso incarico di direttore generale potesse essere assegnato a questo personaggio, tutti si misero a ridere, increduli.
Ma quando il Consiglio di Amministrazione del centro scommerciale si riunì per la nomina e, forse soltanto per il gusto di “vedere l’effetto che fa”, lo elesse a larghissima maggioranza, allora tutti zittirono.

Adesso me ne stavo ammutolito davanti a lui, soggiogato dalla sua imponente personalità.
Indubbiamente, da ora in avanti, tutti avrebbero odiato i gatti, e amato il groviera, perché, si sa, in fondo non è poi così difficile cambiare gusto.

Mi guardò dritto negli occhi, e squittì:
“Questa è la realtà, baby, e tu ti devi adeguare…”, e con indifferenza seguitò a rosicchiare la forma di Parmigiano Reggiano, invecchiato quaranta mesi, che si era fatto sistemare sulla scrivania.
 

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