Mostra valtrumplina per artisti del Savallese
di red.

“Speriment-Azioni: la poesia della materia e il microcosmo in espansione nelle opere” è il titolo dato all’esposizione di Amato e Stefano Freddi. Vernissage a Sarezzo sabato 12 novembre

 
Un incrocio di esperienze e la condivisione di un percorso, in una mostra che propone un dialogo armonico tra la pittura e la scultura. 
Dal 12 al 23 novembre Speriment-Azioni porterà il visitatore in un viaggio attraverso il colore e la forma nella prestigiosa cornice di Palazzo Avogadro a Zanano.
L’esposizione sarà inaugurata il 12 novembre alle 18 con la presentazione critica a cura di Simone Fappanni e Michela Valotti e l’incontro con gli artisti.
 
Un rapporto intimo, colloquiale, silenzioso con la materia caratterizza la genesi delle opere di Amato Freddi.
«Un artista che non vuole perdersi in inutili decorativismi fine a se stessi ma che, al contrario, predilige cercare nella materia inanimata lo scorrere lento e inesorabile del tempo chiamando a gran voce il fruitore a penetrare nei mille rivoli che, quasi invisibili, pervadono i suoi lavori» ha detto di lui Simone Fappanni.

Che prosegue: «I risultati sono veramente sorprendenti e degni di nota, specie se si pone mente al fatto che la scultura di Freddi nasce direttamente da “materiali inerti” che vengono lavorati con determinazione dall’artista rispettandone l’essenza e la consistenza.
Quella di Amato è una creazione che inizia da ciò che egli trova nelle sue lunghe peregrinazioni nelle valli e nei luoghi pedemontani che frequenta e – come sostiene Giorgio Vasari in un passo delle Vite de’ più eccellenti pittori, scultori et architettori, – persegue l’aspetto distintivo dello scolpire che sta nel togliere “il superfluo dalla materia”, in modo da “...ridurre a forma di corpo che nella idea dello artefice è disegnata”. Egli attua in questo modo anche un processo in estendere, ovvero uno studio che nella sua non compiutezza, nel suo incessante cercare, nell’osservare per vedere, artisticamente, ciò che il non-artista non vede, ha raggiunto esiti altrimenti impossibili».
 
E’ Michela Valotti, invece, a presentare Stefano Freddi:
«La capacità di captare le vibrazioni cosmiche riversando nella fluidità del segno l’ineffabile mormorio della goccia d’acqua, piuttosto che le onde eteriche che effondono dai corpi, caratterizza la gran parte delle esperienze estetiche dell’avanguardia. 
Il grande e il piccolo, il reale e l’immaginario vengono risucchiati in un’unica vastità che si fa visione impalpabile e si interroga sul cosa e sul come, dirottando lo sguardo dell’artista verso panorami centrifughi, alla ricerca di senso. Senza un filo che tracci un percorso, e consenta di voltarsi indietro per ripercorrerne le tappe, come quello che la mitologia assegna alla saggia Arianna, è difficile orientarsi nella multiforme accidentalità dell’esistere, ma anche del creare».

«Quel filo, Stefano Freddi l’ha trovato, anzi ne ha fatto una matassa, groviglio fluttuante su superfici a tratti opache e scure, a tratti, invece, specchianti, in un lavorio continuo che richiama un’altra donna della tradizione classica, Penelope, alle prese con la mitica tela.
L’occhio dello spettatore viene fagocitato dai filamenti che disegnano – ma talvolta modellano in rilievo – le preparazioni ruvide e terrose, come a ribadire la necessità di una osservazione lenta, indulgente, concentrata a leggere, tra i solchi, le trame sovrapposte che incidono il fondo, alla ricerca di nuove epifanie».

«C’è fatica nel lavoro di Stefano Freddi, per trovare una via d’uscita. Il suo atteggiamento, umile come la terra, è rispettoso di quel delicato equilibrio naturale che viene sondato per frammenti e pazientemente ricomposto, per dare forma all’impenetrabile labirinto dell’anima. L’artista si lascia trasportare dal fluttuare quieto e composto di quegli organismi che si dilatano a dismisura, senza mai perdere il filo, solido ancoraggio alla terra che li ha generati e ne garantisce la riproduzione».
 
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