A ricordo del Partigiano «Mazza»
di Alfredo Bonomi

Giovanni Bianchi, temerario e generoso partigiano valsabbino, rese una testimonianza particolarmente dettagliata in merito alle vicende resistenziali che videro protagonista.
Di Alfredo Bonomi



Il 13 ottobre del 1945 una dichiarazione sottoscritta da tutte le famiglie di Pompegnino e firmata dal sindaco di Vobarno iniziava così: «Tutte le famiglie di Pompegnino i cui capi qui sottoscritti dichiarano quanto segue: il Patriota Bianchi Giovanni (col nome di battaglia “Mazza”) residente in Pompegnino, ci ha distribuito, verso la metà del mese di maggio u.s. a titolo di regalo un pacco contenente tessuti di tela di vario colore, per circa 20 mt…».

Si concludeva così, con un atto di generosità e di solidarietà sociale in un periodo assai difficile sul piano economico, la convinta ed intensa vicenda resistenziale di questo valsabbino.

Nato a Sabbio Chiese il 5-6-1924,
figlio di Francesco, di famiglia di Sabbio Sopra, soldato di leva in tempo di guerra, decide di abbracciare la causa della Resistenza ed il primo marzo del 1944 entra a far parte della Brigata “Giacomo Perlasca” delle Fiamme Verdi.
Dopo questa decisione partecipa a molte azioni compiute dalla Brigata in alta Valle Sabbia, specialmente a Vestone e nelle zone limitrofe, allora territorio “strategico”.

Le azioni sono da lui ricordate in uno scritto steso dopo la guerra ed in un video che riprende una intervista rilasciata poco prima di morire.
Da una attenta e scrupolosa comparazione tra quanto da lui scritto e raccontato ed i fatti ripresi e documentati nel libro sulla Brigata “Perlasca” e nella stampa del Regime, risulta una completa convergenza.

Durante i terribili rastrellamenti tedeschi
effettuati con l’aiuto di Gruppi fascisti della “Repubblica di Salò”, a partire dalla metà di agosto e proseguiti fino alla fine di ottobre 1944, con l’accerchiamento della Corna Blacca e delle montagne vicine, nell’intento di sterminare le formazioni partigiane arroccate proprio su quei monti, viene catturato il 10 ottobre e portato, con altri, in Val Trompia.

Qui subisce i feroci interrogatori
, accompagnati da percosse e torture messe in atto dai feroci uomini del feroce capobanda fascista, Sorlini.
Destinato alla fucilazione, riesce ad evadere dalla caserma dei carabinieri di Brozzo. Si rifugia sulle montagne di Pertica Alta, aiutato dalla popolazione locale.
È lui stesso a ricordare l’amorevole soccorso avuto da una giovane donna di Livemmo, una di quelle donne che hanno affrontato gravissimi rischi per aiutare i “ribelli”.

Riprende la sua azione partigiana nella Bassa Valle
, passando all’inizio del 1945, dalla Brigata “Perlasca” alla 7a Brigata “Matteotti”.
Assume il ruolo di capo nucleo il 10-10-1944 e lo mantiene sino al 25-4-1945.
Proprio negli ultimi giorni di guerra, è uno dei primi ad entrare nel Cotonificio di Villanuova sul Clisi per snidare gli ultimi tedeschi e per impedire lo svuotamento dei magazzini. Per questo atto gli vengono poi donati parecchi quintali di tessuto.

Invece di considerare quanto ricevuto come un “dono personale”
lo destina a tutta la popolazione di Pompegnino.
Terminata la “fiammata resistenziale” rientra nella quotidianità della vita.
Nel 1966 la Formazione Matteotti gli ha riconosciuto la “Croce di Benemerito” per la sua attività clandestina.

Una esperienza la sua, veramente intensa
, profondamente radicata a solide convenzioni democratiche, vissuta con determinazione e, a vicenda conclusa, ricordata con discrezione e senza enfasi retorica.

È quindi giusto che Pompegnino gli dedichi un ricordo, specialmente oggi, in un tempo di smemoratezze nel quale, sotto l’assalto dell’effimero e dell’ “apparire momentaneo” rischiano di rimanere in ombra i valori resistenziali che sono alla base della nostra Repubblica.

Settembre 2016
Alfredo Bonomi
 
160919resistenza.jpg