«Lui scende a Nozza o a Vestone?»
di Beppe Biati

E' trascorso un anno dalla scomparsa di Pino Greco, montanaro degli Abruzzi e più valsabbino dei valsabbini. Beppe Biati oggi ci dà modo di ricordarlo. Lo facciamo molto volentieri

 
“LUI SCENDE A NOZZA O A VESTONE?”
Il ricordo di un amico scomparso
 
Lui scende a Nozza o a Vestone?
Molti elementi quella mattina congiuravano ad acuire il disagio di uno stazzonato professore con valigia.
Seicento chilometri di treni nella notte. Cinquanta di corriera nella nebbia. La brusca, abbacinata materializzazione di un fiume che contendeva alla strada un segmento angusto di fondovalle. E poi il sole che svaporava fra boschi mollicci, tralicci balenanti e una chiesa improvvidamente accoccolata sotto dirupi incombenti… tratta Barghe-Vestone, di quel 30 ottobre 1972.
Il posto era San Gottardo. Il professore ero io. 
Quel “lui” era il preannuncio di una diversità…”.

Così ci raccontavi il tuo ingresso in Valle Sabbia, tu, uomo delle plurime e positive relazioni, quelle d’acchito, e quelle, per contrapposto, profonde, che si insediavano con naturale e sperimentata duttilità. Su e giù per questa Valle, dove, per te, “riconoscere l’affannosa e mitragliante apnea di certe tirate del savallese era un gioco da ragazzi, come pure distinguere la cantilena ciondolante di Idro o i curiosi scambi vocalici dei Bagossi”.

Ti esercitavi nella decrittazione di un linguaggio che trasmetteva non tanto precisi riferimenti lessicali, quanto arcane energie fonetiche e risonanze suggestive. Come quelle della tua terra, del resto, che sempre fa capolino nelle tue descrizioni e nel tuo animo. (Bussi Off Quel paese che non c’è più).

E così iniziava quella tua professione di insegnante, nobile e intessuta di piccole grandi realtà, davanti a volti intensi, ad occhi sgranati di curiosità, di cose da comunicare, da insegnare, con la diversificazione pedagogica dell’approccio, unico nella dedizione, caratterizzato e su misura, “individualizzato”, rispetto all’alunno.

Pedagogia della promozione umana, attraverso una empatica relazione, non scontata, ma resa “carne viva”, “spirito diffuso”, cultura vera.
La nozione contava sì, ma il fine era la formazione integrale della persona, come uomo, come cittadino, parte significativamente sociale di un gruppo, dove la “polis” civica era da costruire, arricchire, consolidare.
Tu, che provenivi da una turbinosa militanza giovanile nel paese più rosso d’Abruzzo e ti incontravi con un mondo cattolico: incontro di tolleranza e di curiosità.

Sì, tu portavi dentro delle rabbie proletarie e dei radicali risentimenti contro le prepotenze padronali e gli opportunismi dietro l’angolo, che si incanalavano, qui, nella tua verde Valle, per la predilezione degli ultimi, dei ragazzi che ti raccontavano degli squarci di cielo delle Pertiche o del Savallese, assieme alla dura fatica delle fienagioni su pendii scoscesi, di raccolti affidati alle nubi e alle tempeste.

Affanni, ristrettezze, privazioni: tu c’eri e lo raccontavi.
In ogni caso gli alunni, proprio come oggi prescrive la pedagogia più avveduta, in un approccio non assillante con i garbugli morfologici e sintattici. 
Gli alunni con le loro famiglie, il loro portato, il loro contesto, il loro futuro, indirizzato su principi e valori, come da lascito resistenziale e da Costituzione italiana, senza reticenze e senza vergogna.

Così da Preside (“praesidium”, presidio dell’Istituzione), una vocazione realizzata, quasi naturale conseguenza di trasmissione di valori e di guida saggia ed attenta. Una predestinazione scontata, per studi, cultura, sapienza comunicativa, merito, lavoro sul campo.
Il mio viatico – scrivevi – era Don Milani, con la sua Scuola di Barbiana”.
Il riscatto sociale attraverso la cultura, questo era il senso di quella tua asserzione.

Credo che i tuoi insegnanti/colleghi/amici,
presenti qui e quelli che ti ricordano, abbiano impresse queste suggestioni, anche e soprattutto laddove asserivi che ogni processo cognitivo viaggia e si nutre di rapporti sociali e dialogici, “le emozioni”. 

Non ti abbiamo conosciuto abbastanza: questo è il grande rincrescimento.
Uomo di immensi affetti familiari e di grandi profili di vita: tra tutti la relazione come base, il rispetto come segno confermativo di ogni rapporto, l’ascolto come presupposto. Diversità di vedute nel mondo e sul mondo, ragioni per le proprie scelte, incondizionata dedizione agli assunti di base: mai e poi mai prevaricazione!
Distinzione sempre, però, perché il tuo background aveva le stimmate del paese-fabbrica, delle occupazioni, della celere, degli intossicati dal cloro, delle discriminazioni per i figli degli operai.

Come adeguatamente darti il commiato, l’arrivederci; esternarti il ringraziamento per essere vissuto, per come hai vissuto, per come hai affrontato una lunga, difficile e dolorosa malattia, con l’inarrestabile continua volontà del “potercela fare”.

Come inno alla vita, “quella incalzante metamorfosi” che è la vita, come spesso affermavi nelle tue riflessioni:
“Ma sì, a volte oltre le cime brunite e l’azzurro del cielo, ti capita di immaginare altro. Non gli stereotipi rimuginati ai catechismi vari, neppure quel toccasana compassionevole a cui ci si attacca quando si sente che i giorni scappano via.
Un altro Dio. Un Dio delle cose.
Quello che ordina gli spazi e le energie.
Quello che sta negli interstizi delle tue cellule e degli altri esseri viventi. 
Quello che fa scorrere i fiumi e sorveglia le nuvole nella notte. 
Sono solo tentazioni. 
Poi di fronte all’enormità di quella trascendenza appena lambita e al tumulto degli echi interiori, lo sguardo si abbassa alle cime ferme degli abeti, ai torrenti traslucidi, allo sfolgorio della neve…
Così sei torrente, sei albero, sei pensiero liquefatto in gocce di umori silvestri. Sei molecola sintonizzata con l’armonia universale. 
Momento pieno e infinitesimale dell’Eterno”! 

Vivi nei nostri cuori, Pino!
 
Beppe Biati

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Pino Greco ha scritto anche per noi, redazione e lettori di Vallesabbianews.

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Leggeteli, insieme ai suoi libri questi scritti sono il suo testamento culturale (u.v.)
 
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