Il bello, il fragile, il sublime in Bonifacio Salice, monaco pittore
di Giuseppe Biati





Non si rimane indifferenti, né estranei, di fronte all’arte di Bonifacio Salice; il vortice estetico, che senti prorompere dentro di te, si libera, sprigionandosi, attratto, coinvolto, immedesimato.

E che cos’è l’arte se non questo dinamico incedere ascensionale che trasporta lo spirito? Non in piacevole bello, oggettivo o freddo, perfetto o disincantato, artato o costruito, ma in intense, partecipate emozioni.

L’emotività è elusa, abbandonata; non è dell’arte; l’emozione ne diventa la quintessenza, il nucleo, il parametro. E’ il sentimento dell’arte.

E’ il moto che, spontaneo e trasparente, sopravviene di fronte alla lezione colta, aggiornata, erudita, ma nello stesso tempo poetica, dolce e disponibile di Bonifacio.

Emozione vera dinnanzi ad un percorso artistico che si dipana da grezzo embrione, da primitiva forma, a composita sembianza, salvo qualche nostalgico ritorno euristico all’archetipo primordiale, mai abbandonato segno.


Salice ci riporta su itinerari inaccessibili, alti, vertiginosi e ci fa ripiombare, quasi inavvertiti, nel fragile pittorico, elementare segno di vita. 

Possente in molti affreschi, esile in certi, superbo in alcuni. 

Ritmo di vita, ritorno autentico a realtà quotidiane, frugalmente vissute, testardamente volute; per ritornare, poi, ai grandi canti, ancestrali e vigorosi, ricchi di inesausti toni, di pungenti colori, di immensi spazi.


E cielo, e terra, e mare si fondono e confondono in unitarie visioni, in modulazioni corali, in univoche concordanze tonali.

E’ il Salice della Sardegna, dal terrigno colore delle sue asperità, secche, aride, chiazzate del verde salmastro delle disseminate, irte, oasi di olivo e leccio.
E’ il Salice del cielo lombardo, così bello quando è bello, così nostalgico quando la lontananza lo invoca.
Il ricordo corre alla lussureggiante terra natale, dove il paesaggio raffigurato, dipinto, evoca nuove, profonde suggestioni cromatiche.


Pittore a pieno titolo, a tutto campo, Bonifacio offre al lettore – nuovo discepolo tra i molti discepoli – sensibilità schietta e autentica elegia.

Il suo modo di interpretare è un modo di calarsi nei solchi della sua terra, quasi seme per germoglio, in continuo rapporto catartico.
La naturale inclinazione, il contatto con i grandi dell’arte (è Morandi che lo inizia), lo studio delle massime correnti artistiche – avvinghiato dall’impressionismo francese – creano in lui le basi per una sua personale interpretazione pittorica.


Sicuro nella scia delle grandi “morandiane” nature morte, evolvono le sue composizioni silenti, in un perfetto rapporto tra spazi e oggetti, precisi come sillogismi, scintillanti e solari.
Gli oggetti esistono perché spazio e luce li avvolgono, li fanno sussistere, creano colori, in un chiuso e composito gioco d’armonie.

Sequenze cadenzate, volumi in equilibrio, colori efficaci; e Bonifacio sbotta con tremebondo stupore :
“Mi sembra buono questo quadro per il ritmo compositivo, il giusto rapporto dei valori tonali e cromatici che creano una buona spazialità di “cella vinaria” (così pensai allora)…”. 


Monaco umile, pittore esimio dopo essere monaco e prete, Bonifacio colloca la sua arte come sintesi del proprio vissuto.

Il monastero di S. Pietro di Sorres, con le immancabili suggestioni di antico cenobio, si trova inevitabilmente inserito nella quotidianità del suo dintorno.
Il suo spirituale “atelier” è la piccola cappella segreta all’interno della più antica fondazione benedettina, dove la diuturna preghiera della comunità inclina le attività dello spirito a contendersi nell’armonica regola dell’”ora et labora”.


La cella, gabbia aerea, dove i raggi vengono a imprigionarsi, si sfalda.
I muri spariscono. Da ogni parte la luce penetra; si irradia e si stampiglia, sovrumana, sulle tele, simbolo della divina perfezione, segno della cosmica rotazione, filosofica e plotiniana processione, universo di emanazioni radiose.

La mente guida la mano, nei concentrici riflessi di luce, punteggiati, divisi, a guisa di romanico mosaico. 


La luminosità dei quadri si esprime in equilibrate composizioni: traluce la gioia.
Il simbolismo realistico si afferma sempre di più, rapido e sublimato: paesaggi trasfigurati, argomenti religiosi, scene sanguigne, totem arcaici sono oggetti di continua ricerca.
Il suo spirito non si nega alla ricerca puntigliosa, eccessiva, perfezionista.
 

La ricerca di Bonifacio, il suo insistere sul mondo che lo ha visto crescere e sperimentare i valori solidali della vita è il nucleo portante della sua opera, impastata di pena antica, come la storia della sua gente, ma anche sospinta dal talismano di una non sopita speranza.

Giuseppe Biati

.in foto: pesaggio sardo


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