La parola a Pasini, presidente Federacciai
Diciannove associazioni ambientaliste hanno attaccato il sistema bresciano della gestione dei rifiuti solidi urbani, ma anche il sistema produttivo bresciano. A difesa del comparto siderurgico si alza la voce di Giuseppe Pasini

L’emergenza rifiuti a Napoli e l’ormai prossimo varo del Piano rifiuti provinciale accendono il dibattito sul carico ambientale che il nostro modello di sviluppo porta con sè. Sulle scorie che esso genera. E sulle ricadute ambientali.

Diciannove associazioni ambientaliste hanno attaccato di petto il sistema bresciano della gestione dei rifiuti solidi urbani, ma anche il sistema produttivo bresciano. A difesa del comparto siderurgico si alza la voce di Giuseppe Pasini, presidente nazionale Federacciai, titolare di una delle più grandi aziende bresciane, la Feralpi.
«A noi non interessa entrare in polemica con persone o comitati molto distanti nella valutazione del mondo industriale - precisa Pasini - ma chiarire alcune caratteristiche del comparto siderurgico bresciano, anche di tipo ambientale».

UN COMPARTO non marginale: «Con 32milioni di tonnellate la siderurgia italiana è seconda, in Europa, solo a quella tedesca. Brescia da sola "vale" 10 milioni di tonnellate, un terzo del totale. Metà della produzione da forno elettrico italiana viene da Brescia». Forno elettrico significa fusione di rottami. «È vero che parte del rottame ferroso lo importiamo dall’estero, ma il comparto siderurgico in Italia è prima di tutto un soggetto riciclatore, che recupera materiale ferroso. Se questi materiali non venissero riciclati, deturperebbero il territorio. Al contrario, utilizzando il rottame ferroso derivante da lavorazioni meccaniche e dalle demolizioni, creiamo sottoprodotti che fanno risparmiare risorse ambientali».

Le tesi di chi propone di «delocalizzare» o «ridimensionare» le imprese siderurgiche è respinta da Pasini: «Ci si dimentica che il comparto oggi a Brescia conta 15mila addetti, fra diretti e indiretti. Non è un caso se a Brescia il 34% del Pil è di fonte industriale: l’industria siderurgica ha fatto registrare un incremento del 18% negli ultimi 4 anni, a fronte di tassi dell’economia europea intorno all’1,5-1,8% annuo. E poi la produzione di acciaio è strategica per qualsiasi Paese».

SE IL SETTORE È STRATEGICO, resta il problema del suo «carico» ambientale. «Le aziende - ricorda Pasini - in questo ambito hanno investito molto. Dal ’90 al 2005 le emissioni di CO2 sono state ridotte del 25%, le aziende hanno da rispettare le quote del protocollo di Kyoto. Si potrebbe anzi eccepire sul fatto che sono state imposte forti limitazioni all’industria, non altrettanto all’ambito civile e dei trasproti». Quanto alle emissioni (polveri in primis) il presidente di Federacciai ricorda i «900 milioni di euro investiti dal comparto in tutela ambientale in Italia dal 2001 al 2005». I protocolli ambientali hanno diverse sigle (Ippc, Aia, Bat) e dicono di un’attenzione serrata. Non solo: «Accanto alle normative comunitarie e a quelle europee ci sono quelle regionali: la Lombardia non ha nulla da invidiare alle normative europee più restrittive, e le imprese hanno introiettato fortemente questo modo di produrre».

C’è un ultimo aspetto ambientale su cui Pasini insiste: la destinazione delle scorie. «Che gli ambientalisti si battano per evitare di usarle per i fondi stradali è un’incongruenza. In tutta Europa vengono usate normalmente per massicciate e sottofondi stradali. In Italia questo non è possibile. Il risultato è che in Italia per le massicciate usiamo la sabbia». Cioè creiamo cave di ghiaia. Che poi, magari, riempiamo di scorie siderurgiche...

Massimo Tedeschi
da Bresciaoggi
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