Forma e materia
di Davide Bondoni

Quest'anno ci saranno le elezioni amministrative per il nostro piccolo comune, Anfo, e già la gente si infervora nel trovare la soluzione migliore...


A glooming peace this morning with it brings:
The sun for sorrow will not show his head.
Go hence to have more talk of these sad things;
Some shall be pardon'd, and some punished.
For never was a story of more woe
Than this of Juliet and her Romeo (v, iii, versi 304--309).

Quest'anno ci saranno le elezioni amministrative per il nostro piccolo comune e già la gente si infervora nel trovare la soluzione migliore.
Io mi permetto di scrivere due righe in maniera incidentale (skew).
L'amministrazione comunale rappresenta la forma del paese, mentre la gente che costituisce concretamente la popolazione rappresenta la materia del paese. Perché nessuno parla di questa seconda componente?
La forma è importante, ma senza una materia adeguata da plasmare non serve a nulla. Il demiurgo platonico, infatti, ha a disposizione già la materia prima di imprimerle una sua forma. L'opera del demiurgo non è creazione ex nihilo, in quanto prevede già l'esistenza della materia. Solo a partire da questa, egli può generare (in senso lato) qualcosa.

Ebbene, anche la forma del comune ha bisogno di una materia adeguata.
Il paese, inteso come materia, può andare bene con un'amministrazione (forma) pessima, o andare male con un'amministrazione eccellente.
Siamo noi cittadini a doverci mettere in gioco e non a demandare sempre ad altri le nostre responsabilità, per cui la colpa è del comune, della provincia, dello stato, dell'Europa, di Dio perché non interviene. E noi dove stiamo?

Non abbiamo mai pensato a cosa significa realmente la parola "comune"? "Comune" indica qualcosa di condiviso, come quando si afferma "è opinione comune che..." Lavoriamo di più sulla materia imparando a condividere ed ad accettarsi (se proprio non ci si vuol voler bene)! Come scriveva Hegel nel 1806, "a = b" è la forma dell'idealismo trascendentale.
Ovvero, è un'identità non tra uguali, come sarebbe "a=a" (scarsamente informativo; ogni cosa è uguale a sé stessa), ma tra diversi, a e b. Io riconosco nell'altro qualcosa che c'è anche in me.
Un'identità nella diversità che è anche alla radice del pensiero di Chiara Lubich.

Possiamo interagire tra noi, solo se riconosciamo di avere un qualcosa in comune. Questo è quello che va messo in gioco in una società che vuol dirsi Gemein-schaft (dove "gemein"- sta per "comune"). La società è quel luogo umano in cui si mette qualcosa in comune, si condivide, si hanno delle interazioni significative. Questo è possibile solo se:

1. ogni cittadino si ritiene responsabile delle proprie azioni, non chiamando in causa sempre nuovi capri espiatori;

2. ogni cittadino condivide quello che ha;

Nessuno è così povero da non aver nulla da dare. Quantomeno, avrà il tempo, un sorriso, un saluto, tenendo presente che niente è tanto poco che condiviso non si moltiplichi.
Tutto ciò viene frenato qualora:

a. ogni cittadino demanda agli altri di pensare per suo conto, salvo arrabbiarsi se colui che pensa per lui, la pensa diversamente da lui;

b. ogni cittadino vive lasciando vivere per non avere guai o casini;

Non posso nascondere che i comportamenti a) e b) siano sempre più presenti nelle nostre piccole comunità. Ma cosa potrebbe fare, anche il più sublime degli scultori se avesse della materia scadente? Cosa potrebbe scrivere un compositore se avesse a disposizione un sola nota? È chiaro che la forma (amministrazione) può generare qualcosa di bello (dare aspetto alla materia), solo se si trova a che fare con del materiale di qualità.

Mai come in questo periodo assistiamo ad una caduta valoriale, mancanza di ideologia nel senso nobile del termine, mancanza di riferimenti morali precisi. Molta gente pensa che la morale sia solo appannaggio della Chiesa. Falso.
La filosofia si è sempre occupata di morale. La morale cementa un popolo. È vero che molti di coloro che rifiutano la morale cristiana, di fatto non abbracciano nessun'altra forma di morale. Ma questo non implica che esista una sola morale.

Ecco, perché ho iniziato queste brevi note con il finale del Romeo e Giulietta
di Shakespeare.
La tragedia avviene proprio per l'incapacità di due opposte fazioni di parlarsi, di condividere. Se ciò non avviene, la morte (reale o psicologica) dell'avversario è inevitabile.
E, come, la tragedia in questione ben rappresenta, ci sono casi in cui l'odio tra le parti è talmente alto da portare alla morte entrambi i contendenti. Quando un avversario preferisce la propria morte alla condivisione, vuol dire che siamo su un binario sbagliato e pericoloso socialmente.

Ricordo che la guerra dei trent'anni non finì con una spartizione delle vittorie e delle perdite, ma ci sedette ad un tavolo per far finire una guerra che stava costando troppo a tutti. Non ci si alzò senza una soluzione. Questo deve essere il modo di dirimere le controversie.

Ad ogni modo, questa era una citazione storica non facente parte dello scopo di questo articoletto.
Io volevo in un certo qual modo far notare l'importanza della materia, della gente reale e far notare che non tutto dipende dalla forma (dall'amministrazione in causa, quale essa sia), molto spetta al popolo, al comune concreto.
Per questo motivo, abbiamo bisogno in prima linea di persone responsabili, morali, che non disdegnino la sfera assiologica, capaci di investire in umanità, pronti al dialogo che nasce non dal rapporto di più soggetti, ma anzi li fonda. È il dialogo a fondare (vedi Husserl: Fundierung) le persone che dialogano tra loro e non viceversa.

La mia convinzione di fondo è che non esistono soggetti-atomi, disgiunti gli uni dagli altri, ma che viviamo in una realtà entangled (per la spiegazione di questo aggettivo rimando a: https://en.wikipedia.org/wiki/Quantum_entanglement - in inglese), in cui le frontiere (borders) degli individui sono fuzzy.

Mi si dirà che sono un idealista. Ed io rispondo con piacere: "sì, lo sono!" Ma la sfera ideale fa parte dell'essenza dell'uomo. Basta con il semplicistico "das Tun" (il fare)! L'azione se non è guidata, si muove ciecamente.
Abbiamo bisogno di idee, di morale, di responsabilità, di messa in condivisione, sopratutto in questo momento di grave crisi economica, dove è chiaro che nessuno ce la farà a correre da solo. Ma non bisogna condividere con sé stessi, ma con gli altri, con il diverso.

Certo, il diverso, se non vi riconosciamo noi stessi, fa paura
(Sartre: l'inferno è l'altro). Ci vuole un processo di riconoscimento, ma la condivisione fra eguali non ha senso. Esattamente come "a=a". E allora? Preso a caso un qualsiasi oggetto g, abbiamo che "g=g". Che scoperta! Ma non ci dice niente. Dobbiamo passare attraverso il travaglio del negativo ed accettarci, con i nostri pregi, ma anche con i nostri piccoli errori.

Riprendendo la citazione iniziale: "quale sarà l'alba del nostro paese"?

davide bondoni

P.S. Per ovviare ad eventuali polemiche, il mio discorso non aveva per riferimento nessuno in particolare. Anzi, voleva prescindere da tale particolarità.

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