Il castello di Vallio, un'altra ipotesi
di Luigi Agostini

L'articolo riguardante l'ubicazione del Castello di Vallio ha suscitato molto interesse. A tal proposito ci ha scritto il valliese Luigi Agostini che partendo dalle stesse fonti ipotizza una collocazione diversa


Riportiamo integralmente lo scritto redatto due anni fa del dott. Luigi Agostini, valliese trapiantato a Nave, appassionato di ricerca storica, sul castello di Vallio.

Il castello di Vallio 

 

I valliesi quando parlano del loro paese, amano soffermarsi con orgoglio sulla Rocca di Bernacco o meglio su quello che ne rimane: pochi ruderi che testimoniano una storia ricca di fascino, diventata leggenda, che vede protagoniste umili formiche le quali, erodendo con infinita pazienza le fondamenta del castello, erano riuscite a farlo crollare umiliando il superbo castellano che si riteneva invincibile.

E’ certo che il luogo sia stato fortificato intorno all’anno mille sfruttando un cocuzzolo a forma di cono tronco  che dominava e domina ancor oggi l’antico percorso che da Brescia attraverso la Val Sabbia sale in Trentino.

L’ importanza di questa rocca è testimoniata dalle carte geografiche più antiche che indicano il luogo con il simbolo della torre e col toponimo “Rocca di Bernacco che  non è però l’unico segno delle origini antiche di Vallio, ora Vallio Terme. Una pergamena del Monastero di Serle, risalente all’anno 1095, fa cenno infatti ad un “castrum de Vallibus ” cioè ad un castello, costruito anch’esso intorno all’anno mille, rifugio dei valligiani  ogni qual volta questi vedevano comparire all’orizzonte truppe mercenarie, fossero tedesche, svizzere, francesi, spagnole, attratte dalla  grassa e fertile pianura padana.

Dell’antico castello non è rimasta traccia; solo il toponimo: “Corne del Castel” indica oggi una località dominata da imponenti e suggestive  rocce di tufo poste in prossimità del primo tornante  (“el rotondel”) della strada che dal fondo valle sale alla frazione di Sopranico, il che fa pensare che nelle vicinanze sorgesse in tempi lontani un luogo fortificato. Allo storico Gualtiero Laeng era parso logico ipotizzare (vedi articolo “Il Toponimo di Vallio - anno 1966) che il castello sorgesse nella frazione che domina l’antica strada che da Gavardo si inerpica verso il Colle di Sant’Eusebio.  Le cronache dell’epoca dicono che la rocca di  Bernacco non era da confondersi col “castrum” tanto che un cronista dell’epoca aveva narrato litigi tra i villici di Vallio e di Bernacco questi ultimi refrattari a partecipare alla manutenzione del castello in quanto oberati dalla manutenzione della Rocca.

In mancanza di segni visibili la localizzazione del  castello è rimasta per secoli un mistero che solo di recente è stato svelato  grazie ad uno studio accurato di Giuseppe Beruti (vedi “il terremoto di Brescia del 1222” - Annali Queriniani III- 2002) dove, rispolverando la pergamena del Monastero di Serle datata 28 febbraio 1200 (vedi anche libro “Da Vallio a Vallio Terme” di Marcello Zane) si parla delle compravendita di un appezzamento di terra denominato “Lavarono” specificando che “ è prope Vendram cui coheret  a mane et a monte ecclesia Sancti Petri de Valio, a meridie Vendra” (è prossimo alla Vrenda, cioè del corso d’acqua  che scorre a fondo valle, i cui confini sono a mattina ed a sera la chiesa di San Pietro di Vallio, a mezzogiorno il Vrenda). Il quadro si fa ancora più preciso grazie ad un saggio di Giuseppe Archetti  “ La vite in Lombardia in età medioevale”  richiamato dal Beruti dove si precisa che la casa torre del castrum era ubicata vicino alla chiesa (probabilmente una cappella inserita nel castello con le case dei contadini).

Il fortilizio non doveva essere abitato da famiglia nobiliare perché nella descrizione fatta dal monaco Gezio nel 1236 non si fa cenno a strutture gentilizie ma solo ad una casa torre avente funzione di ultimo baluardo in caso di assedio. E’ facile supporre che il castrum appartenesse al demanio pubblico o meglio al Signore della guerra, mentre è  accertato che la manutenzione fosse imposta sia alla Vicinia (cioè agli abitanti del luogo, compresi quelli di Bernacco) sia al Monastero di Serle divenuto proprietario di terre e di diritti nel territorio di Vallio in forza dell’atto di investitura emanato dal Vescovo di Brescia il 15 aprile 1157.

Nel 1158 i villici delle Rocca di Bernacco e quelli del Castello di Vallio vedono transitare i “teutonici”, soldataglia mercenaria  al seguito dell’imperatore Federico I di Svevia (meglio conosciuto come “Barbarossa”),  sceso per la seconda volta in Italia. Le cronache dell’epoca parlano di una battaglia “ de Vaj” alla quale aveva partecipato il console,  certo Giovanni Muratore di Sonvico, che aveva tentato di organizzare la difesa del territorio di cui ne era custode.  La cronaca informa inoltre che  in quella circostanza i villici di Bernacco, gelosi della loro autonomia, avessero preferito asserragliarsi nella rocca, fatto prevedibile, dati i rapporti conflittuali esistenti con la vicinia di Vallio.  E’ interessante anche la pergamena datata 31 agosto 1200 che riporta i nomi dei capifamiglia della comunità di Vallio tra cui certo Rampagius Gisla seguito dalla parola “teutonico”,  segno evidente che qualche soldato del Barbarossa, finite le scorrerie, anziché tornarsene in Germania, avesse  preferito prendere dimora nella Valle del Vrenda.

Dalla pergamena datata 29 novembre 1236, già citata, si apprende che il castello era stato lesionato dal terremoto che aveva colpito anche Vallio il giorno di Natale del 1222. Dall’elenco dei danni si apprende che il castello avesse torri di cortina (a difesa del muro di cinta e dei sovrastanti camminamenti di ronda detti “andatores”) , una casa torre, un granaio (granalorum), una cisterna e che i tetti erano parte  in “scandole” (assi) e parte in coppi.

Del fortilizio si ipotizza sia rimasta solo una parte delle sue fondamenta: un arco in mattoni e un pilastro di pietra poggiante sulla viva roccia posti entrambi in lato di  mezzodì della Chiesa, venuti alla luce durante i lavori di ristrutturazione dell’Oratorio come hanno testimoniato i  Geometri Gabriele e Rosario Ferandi.

Con la dominazione veneta sia la rocca di Bernacco che il castrum di Vallio perdono d’importanza, ma mentre la Rocca viene citata nel Catastico di Giovanni da Lezze compilato nell’anno 1610: “la quale scopre la Città di Verona ed altro paese per esser in alto et eminente, circonda 60 passi con mure et case dentro, ma derocate”, nulla è detto del castello. Si può solo ipotizzare che la sua distruzione sia stata opera ai primi del ‘500 delle scorribande dei soldati francesi di Carlo VIII e successivamente di Luigi XII non dimenticando i lanzichenecchi di Carlo V. E’ probabile che,  data la scarsità di pietre, difficilmente reperibili in loco, gli abitanti del luogo abbiano utilizzato i ruderi del castello come cava di pietra (vedere storia del Colosseo)  per consolidare le misere  abitazioni la maggior parte delle quali erano di legno e quindi facile preda del fuoco. Altra ipotesi è che l’antica chiesetta, dopo la fondazione dell’Istituto Parrocchiale, sia stata ampliata nel corso del 1700 (vedi iscrizioni dipinte sulla parete di fondo del tempio) riutilizzando  le pietre dell’antico castello con l’aggiunta di mattoni frutto di una vicina cava di argilla (sotto la frazione Caschino) come si evince da atti di compravendita coevi alla ricostruzione della chiesa recentemente venuti alla luce.

La dominazione veneta (1426 - 1798) aveva assicurata è pur vero la pace ai propri sudditi e quindi anche agli abitanti di Vallio, ma non mancarono le dispute che videro coinvolti e protagonisti  la Pieve di Gavardo, il Monastero di Serle, il Vescovo di Brescia nonché i nobili Malerba e Poncarale accampanti signorie e diritti sul territorio,tra cui la decima (parte del raccolto) contestata dagli originari  costituitisi in vicinia ed anelanti all’affrancazione.

La storia del castello di Vallio viene, seppur indirettamente, riproposta grazie ad uno studio commissionato dall’’ENEL nell’anno 1985 a tre insigni studiosi (Ferrari, Guidoboni, Postpischl) che dovevano indagare i terremoti funestanti il territorio bresciano nel corso dei secoli ed è per questo motivo che era stata rispolverata l’antica pergamena del monaco Gezio di cui si è già parlato. Collegando i danni provocati dal terremoto del giorno di Natale del 1222 con le cronache dell’epoca che parlano di un magnus terremotus  che aveva causato nella sola città oltre mille morti su una popolazione di 9.000 abitanti) è stato possibile stabilire  il grado di intensità (XI della scala  Mercalli, Cancani, Sieberg) e la magnitudo pari a  6,8 localizzando l’epicentro nella media Valle Sabbia. Lo studio Beruti informa inoltre che il territorio di Vallio è  attraversato  da tre faglie ancora oggi ben visibili testimoniate da fratture nella dolomia che affiora lungo le direttrici  Fostaga – Cascino;   Oriolo – Binzago ,  Sonvico - Valle del Malorbio. Pochi sanno che la ricerca dell’ENEL fosse finalizzata a stabilire il grado di rischio sismico del territorio bresciano dove avrebbe potuto sorgere un impianto  nucleare.

Possiamo dire quindi, a proposito del terremoto del 1222, che “non tutti i mali vengono per nuocere”.

Luigi Agostini - aprile 2013

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