Parigi: prevalga Voltaire su Al-Baghdadi
di Leretico

Un altro incubo è venuto a visitarci la sera del 13 novembre a Parigi, a ricordarci, se ce ne fossimo dimenticati, il senso della "meraviglia...


Quel senso della parola "meraviglia" che intende porre l'accento sulla sorpresa traumatica piuttosto che sulla giocosa improvvisata, sull'angoscia e sul terrore piuttosto che sulla trovata divertente.

La morte ha bussato alle porte di diversi luoghi parigini, vestita di nero odio, in nome di Allah.
Ragazzi ad un concerto al café Bataclan: sorrisi interrotti. Un brindisi nel ristorante cambogiano: l'orrida falce della morte cala per la decimazione. E se non fosse stato per la sicurezza di base presente allo Stadio di Saint Denis, molti più numerosi sarebbero stati i morti trucidati dalle esplosioni nell'impianto sportivo più grande della città.

Si dice che il terrorismo scelga, nella limitatezza dei suoi mezzi, obiettivi simbolici.
E quali migliori obiettivi potevano scegliere gli islamici assassini se non i simboli del divertimento e del benessere del tipico fine settimana parigino.
Un attacco alla cultura francese e con lei alla cultura di tutta Europa.

Un particolare, nella geografia dei punti colpiti, mi ha impressionato: il café Bataclan si trova in Boulevard Voltaire. Forse è un po' troppo ritenere che, insieme al "bien-être" francese, i terroristi abbiano voluto colpire il padre intellettuale della tolleranza, trucidando innocenti a tradimento proprio nella via a lui dedicata.

La cosa però è, come dicevo, ugualmente impressionante
, perché in fondo è proprio la cultura occidentale della tolleranza che questi macabri inviati dell'autoproclamatosi califfo Al-Baghdadi vogliono distruggere.

Scriveva Voltaire: "La tolleranza è una conseguenza necessaria della nostra condizione umana. Siamo tutti figli della fragilità:  fallibili e inclini all'errore. Non resta, dunque, che perdonarci vicendevolmente le nostre follie. È questa la prima legge naturale: il principio a fondamento di tutti i diritti umani”.

Non confondiamoci, qui Voltaire parte dal principio dell'onestà intellettuale con cui ammettere reciprocamente le nostre fragilità, i nostri errori.
Sapeva benissimo che esistevano i fanatici, come lo sappiamo noi che oggi lo leggiamo. Ma non c'era ai suoi tempi, come non c'è oggi, altro modo di affrontare il problema dell'intolleranza se non con l'ammissione delle reciproche follie, l'ammissione della nostre colpevoli ignoranze.

Da questi elementi del discorso di Voltaire parte la considerazione di un altro grande filosofo, più vicino a noi cronologicamente: Karl Popper.
Teorico della società aperta e democratica, fautore del razionalismo critico e ideatore della teoria della falsificazione per discriminare ciò che è scientifico da ciò che non lo è, l'austriaco Karl Popper, pensando a Voltaire, intuendo che il fanatico non potrà mai essere intellettualmente onesto, preclusa la strada della reciprocità nelle ammissioni di ignoranza e follia, deduce:
"La tolleranza illimitata porta alla scomparsa della tolleranza. Se estendiamo l'illimitata tolleranza anche a coloro che sono intolleranti, se non siamo disposti a difendere una società tollerante contro gli attacchi degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con essi".

Deve esserci dunque un confine anche per la tolleranza, che determina il diritto e il principio di potersi difendere dagli attacchi distruttivi degli intolleranti.
Se siamo una società aperta e democratica, moderna e tollerante e vogliamo salvare le nostre conquiste, il nostro stile di vita, i nostri valori e le nostre istituzioni, non dobbiamo muoverci contro i terroristi perché essi si dicono religiosi, ma perché sono intolleranti fanatici e sanguinari.

Anche se non lo vogliamo, anche se crediamo fermamente nella pace, nel momento in cui decidiamo, come società, di difendere il nostro diritto di esistere e di avere un ruolo nel mondo, corriamo il rischio di dover combattere contro chi questo diritto lo interpreta come sfida, come insulto, come prevaricazione.
Ed è qui che dobbiamo comunque fermarci a ragionare, più sistemicamente oserei dire.

Questo male che ci colpisce, che uccide i nostri giovani come animali al mattatoio, che ci fa paura perché esce dal buio senza preavviso per distruggere le nostre certezze insieme alle nostre felicità, viene da lontano e non basterà mandare ulteriori aerei ad intensificare i bombardamenti in Siria per bloccare i suoi colpi a tradimento, le sue carneficine disumane.

Nel gennaio scorso, in occasione dell'attacco alla redazione di Charlie Hebdo a Parigi, scrissi che ci saremmo dovuti aspettare altri attacchi, altri morti.
Non ero dotato allora, né lo sono ora, di particolari capacità esclusive di preveggenza, ma era scritto nella dinamica degli eventi siriani, che i fanatici sostenitori dell'Isis, avrebbero attaccato ancora.

La libertà di movimento, di espressione e di riunione di cui godiamo in Occidente sono elementi di grave debolezza in una guerra non convenzionale di questo tipo, perché permettono ai terroristi di confondersi facilmente nel tessuto sociale, per uscire allo scoperto nel momento più opportuno.

Con la forza di intelligence si può cercare di prevenire attentati e assalti
, anche se dubito che in sé sia un'attività molto efficace.
D'altra parte non si può rinunciare alla libertà e alla democrazia per essere più forti contro i fanatici tagliagole dell'Isis.
Essere attaccati due volte in undici mesi, nel centro della capitale francese senza che i servizi segreti ne abbiano saputo nulla, né abbiano in qualche modo potuto intervenire, la dice lunga sulle possibilità di fermare preventivamente questi kamikaze pieni di odio.

Altri sono i modi per combattere questa guerra, sicuramente diversi dalla pur comprensibile reazione immediata.
Sull'onda emotiva generata dall'attacco micidiale sferrato dai terroristi alle torri gemelle di New York l'undici settembre 2001, abbiamo avuto in successione l'invasione dell'Afganistan e dell'Iraq.

Non credo un'altra invasione dell'Iraq o della Siria potrà migliorare le cose
dal punto di vista della lotta al terrorismo, se non alimentarlo appena dopo una momentanea stasi, un'illusoria sensazione di vittoria.
Trovare un nuovo, duraturo e non imposto equilibrio in Medio Oriente sembra invece essere la chiave di volta per la soluzione di questi annosi problemi delle cui tristissime conseguenze siamo ormai fin troppo consapevoli testimoni.
Speriamo prevalga, in ogni caso, la ragione sulla reazione, Voltaire su Al-Baghdadi.

Leretico

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