Adescamento e molestie: qualche riflessione
di Giuseppe Maiolo

Non si è ancora spenta (e non si spegnerà alla svelta) l'eco dei fatti accaduti o non accaduti nel negozio di barbiere di Gavardo, che ancora attendono di essere messi in piena luce. E intanto cosa possiamo fare? L'abbiamo chiesto all'esperto



Leggendo le cronache recenti sui presunti abusi che sarebbero accaduti nella nostra zona presso un negozio di barbiere, colpiscono subito un paio di  elementi: i fatti e le reazioni

Gli accadimenti, secondo quello che finora ci è dato sapere, hanno a che fare con le modalità consuete di adescare i minori in rete e poi esercitare su di loro molestie o abusi.
Le reazioni a questi fatti, anch’esse frequenti, sono di meraviglia, incredulità, rifiuto o negazione di quanto accaduto.

La prima cosa che preoccupa è prendere atto, una volta di più, che i nostri ragazzi iperconnessi, i cosiddetti nativi digitali che conoscono tutto dei dispositivi di comunicazione e in un attimo ti sistemano il telefonino o te lo programmano per poterci fare di tutto, non sono però  attrezzati a riconoscere i pericoli della rete e spesso non sanno difendersi né proteggersi.
Si lasciano adescare magari attratti da una ricompensa o da una ricarica, inviano foto personali senza sapere in quali mani andranno o peggio ancora fanno incontri con sconosciuti senza dire niente a nessuno. 
Vien da chiedersi perché tutto questo.

E la sola risposta che si ritrova immediatamente è che li abbiamo lasciati soli con i loro aggeggi, non abbiamo detto loro niente di quello che la rete nasconde.
Non li abbiamo accompagnati con la nostra presenza attiva a scoprire il web, le sue potenzialità positive ma anche gli angoli bui dove puoi infilarti senza accorgertene e rimanere in trappola.

Loro così  hanno imparato da soli a soddisfare le loro curiosità e a non chiederci nulla, hanno capito che non serve parlare con gli adulti perché questi non li stanno ad ascoltare, presi da tutt’altro, incasinati con i loro impegni o pure loro stessi attaccati dal mattino presto a quei Socialnetwork che non vorrebbero far utilizzare ai figli.

Così Parole incoerenti e assenza di attenzione stanno dietro quei minori che si perdono nella rete.
E di questo bisognerebbe parlassero gli adulti ogni volta che emergono storie o storiacce di questo tipo.
Bisognerebbe incontrarsi, confrontarsi, progettare insieme interventi, fare rete come comunità.

Invece accade tutt’altro. E questa è la seconda cosa che preoccupa.
Ovvero le reazioni della comunità e le sue risposte.
Ci sono due tipologie di risposte immediate: quelle integraliste che vorrebbero pene esemplari, punizioni definitive, castrazioni chimiche per i pedofili e per i molestatori.
Poi ci sono quelli che rifiutano a vario titolo i fatti, quelli che sono pronti a vedere negli organi di stampa già un tribunale che sentenzia, solo per il fatto che dà notizia degli eventi o quelli che criticano i sistemi di intervento delle forze dell’ordine o negano le evidenze.

Sia l’una che l’altra reazione in qualche modo sono comprensibili o perlomeno possono essere spiegate.

L’abuso sui minori è un fenomeno riprovevole e paralizzante di cui vorremmo sbarazzarci immediatamente quando ne veniamo a conoscenza e in modo particolare ci piacerebbe che gli autori del fatto potessero essere considerati malati e quindi da  isolare.
Si tratta delle nostre paure che fanno scattare difese e reazioni di auto protezione e di eliminazione.
Nell’altro caso pure di difese si tratta, più potenti ancora perché non accettano la realtà ma la negano.

Questo non significa che sia sbagliato vigilare sull’operato degli organi di controllo così come dei giornali che ne danno informazioni.
Non è sbagliato sostenere l’innocenza di una persona finché non è stata provata la colpa ed è fondamentale evitare che vi siano sentenze anticipate.
Tuttavia, e lo dico da giornalista e da clinico insieme, ciò che conta è fermarsi a riflettere, trovarsi come adulti a pensare insieme e non tanto dividersi tra colpevolisti e innocentisti. Serva capire che questa è la sfida educativa del terzo millennio che deve impegnare chi fa il mestiere “impossibile” (come diceva Freud) del genitore o dell’insegnante.
La sfida che sta nel recuperare autorevolezza con i bambini e gli adolescenti e quindi credibilità data in modo particolare dalla coerenza tra parole e fatti.

La sfida, e qui lo dico da clinico che si occupa ormai da vent'anni di abuso sui minori prendendo in cura le vittime e anche (poche volte) gli abusanti, è quella di attivare progetti di prevenzione più che di cura.
È un impegno difficile, defatigante, che coinvolge le risorse di tutta una comunità perché la violenza sui minori così come la violenza tra i minori (bullismo e cyberbullismo) è fenomeno occulto, che rimane nascosto agli occhi dei più per il silenzio è la vergogna delle vittime, per il potere degli abusanti, quasi mai soggetti malati ma solo capaci di opprimere e sottomettere, e soprattutto per il silenzio o la distrazione di chi sta attorno.

Questa è la motivazione che mi spinge a dire quanto sia importante fermarsi a parlare e discutere dei nuovi pericoli che attendono giovani e giovanissimi, non fuori di casa, ma dentro, nelle loro stanze dove si richiudono e si isolano dal mondo. Il compito di tutti noi è quello di rompere il silenzio perché solo condividendo le emozioni che si provano in questi frangenti diamo spazio all’empatia e attiviamo le nostre possibili risorse.. 

Molto più importante è ascoltare il dolore che le vittime possono aver provato e allo stesso tempo riconoscere le nostre responsabilità personali, quelle che ci impediscono di vigilare nel senso di osservare con attenzione su tutti i minori anche quelli che non ci appartengono, ma non fare i vigilantes.

Fattacci come questi che ci coinvolgono da vicino
, devono servirci per superare l’idea anacronistica che i “lupi” stanno ai giardinetti, magari dietro un albero al riparo dai nostri sguardi o che hanno volti ben riconoscibili, ma al contrario che non sono lupi e vestono abiti molto normali e sono più prossimi di quanto possiamo pensare.

Giuseppe Maiolo

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