Dalla paura, agli interrogativi, alla speranza
di Alfredo Bonomi

Nella giornata mondiale dedicata alla malattia mentale di Alzheimer, ecco un contributo del professor Alfredo Bonomi



Il 21 settembre è la giornata mondiale dedicata all'Alzheimer e ci invita a qualche riflessione.
I dati, nella loro crudezza, sono già un chiaro ed allarmante messaggio. Nel mondo le persone affette da demenza nel 2015 sono ben 46,8 milioni.

La proiezione è impressionante: nel 2050 ne sono previste 131,5 milioni. In Italia attualmente le persone colpite sono 1'241'700; nel 2050 saranno 2'272'000.
Nel 2015 in Italia si sono verificati ben 269mila nuovi casi, vale a dire ben 737 casi al minuto.
In questo scenario la quota dei casi di malattia di Alzheimer è valutata intorno al 50-60%.
Nel mondo, ogni tre secondi e due decimi, spunta una nuova persona malata.

Ci troviamo di fronte ad un'emergenza sociale dove, spesso in silenzio, si annoda un "rosario di dolore e di sofferenza" da parte degli ammalati e di altrettanta sofferenza, unita a notevoli sacrifici umani ed economici, da parte dei famigliari che si trovano a convivere con la malattia.

Molto è già stato scritto sul devastante decorso della malattia
che cambia le persone e che incide profondamente su chi si trova a vivere accanto a coloro che ne sono colpiti.
Anche la ricerca scientifica annaspa sulle cause vere di questa "demenza" e non si vede ancora, dopo la lunga notte, l'alba che possa contrastare efficacemente il flagello.
L'impressionante diffusione del male che colpisce ricchi e poveri, persone d'ingegno e non, ricorda le antiche pestilenze con il loro carico di terrore e di morte.

Generalmente l'atteggiamento dei "sani" verso la malattia di Alzhimer pendola fra la rimozione e la rassegnazione.
In una società che coltiva in modo effimero e superficiale il culto del corpo ed il "bello ad ogni costo", serpeggia pure la tendenza a cercare di nascondere ciò che è evidente per non doversi misurare con una realtà che richiede sforzi scientifici, generosità, tanta disponibilità finanziaria e l'attitudine a "vivere" un senso profondo di umanità che ponga la persona, con la sua grandezza e la sua fragilità, al centro di ogni considerazione.

Lo sbigottimento e la paura attraversano la società; si impongono con forza interrogativi, specialmente quando gli occhi di una persona cara tendono a perdere la loro luce e nel corpo rimane soltanto il ricordo dell'originaria armonia.

Il primo interrogativo è quello che, pur cercando una risposta nella scienza medica, non si può dimenticare quella che deve venire dalla società la quale, con coraggio, deve farsi carico di situazioni umane mai prima sperimentate, ancorandosi ad una piattaforma di valori che affermino il primato ed i diritti della persona, in quanto essere irripetibile, anche durante il percorso dell'Alzheimer.

Allora viene in aiuto il concetto di "comunità che include"
e non che esclude, una società che non attende miracoli, che cerca di affrontare la situazioni in un "cammino di iniziative" che si affiancano allo scorrere della vita dei malati di Alzheimer.
Il tutto in una visione positiva, dove la speranza mantiene un ruolo importante.

Non si tratta certo di una "speranza ingenua", ma di un atteggiamento non soffocato della malinconia, capace di farsi carico della complessità del vivere, che include anche la vita dei malati di Alzheimer.
Il prof. Mario Trabucchi, Direttore scientifico del Gruppo di ricerca geriatrica di Brescia, che con passione e competenza è in prima fila nella battaglia contro la demenza, richiama tre parole chiave che devono guidare l'atteggiamento verso l'Alzheimer e precisamente «dignità, libertà, autonomia».

Non si tratta tanto di isolare i malati dal loro contesto sociale, costruendo "cittadelle di Alzheimer", ma di mantenerli nella loro comunità, nel loro ambiente, con strategie che includano la "città della malattia" nella città reale.
Ne consegue una strategia di azione che si delinea chiara, pur tra le molte difficoltà che si devono superare.

Senza aspettare ricette miracolistiche dai sofisticati Piani sanitari nazionali, che pur devono esserci ed avere la concretezza di poche parole e di corposi investimenti economici per una giustizia sociale (chi ha in mano le redini delle decisioni ha la percezione dell'altissimo costo umano che grava su un nucleo famigliare alle prese con un malato di Alzheimer?), bisogna mirare a piccoli e studiati interventi, diffusi sul territorio, puntare a creare una rete di professionalità e di competenze, calate in un "clima" di generosità.

Bisogna agire partendo dall'educazione nelle scuole, coinvolgendo i bambini ed i ragazzi, per passare poi ad una formazione a tappeto degli operatori, non solo quelli sanitari, ma tutti quelli che operano in una comunità.

È indispensabile prevedere Rsa aperte al rapporto con l'esterno, innovative nelle strutture architettoniche e nelle organizzazioni gestionali, dove si saldino competenze professionali e sensibilità umana, in un raccordo continuo con le famiglie degli ammalati e con la società nella quale si trovano ad operare.

Sono assolutamente necessarie "atmosfere accoglienti"
per sconfiggere la tentazione del "ghetto", anche se di lusso, insistendo pure sulla positività della malattia, percepita non solo come una terribile limitazione, ma anche come un tratto diverso dall'esistenza di persone che mantengono comunque la loro piena dignità di cittadinanza e la loro "poesia del vivere".
Sono persone che inviano in continuità, ai "sani", messaggi di riflessione, stimoli al pensiero ed energia agli affetti.

Un dato è certo.
Ogni discorso teorico cade di fronte alla forza di uno sguardo che, pur perdendo progressivamente la limpidezza della luce, mantiene eloquenti interrogativi, ed a quella di un corpo che dall'armonia di una bellezza, collaudata da canoni condivisi, passa ad una disarmonia comunque bella perché umana.

Sono questi sguardi, queste disarmonie fisiche, involucri di anime dense di dignità, che ci parlano e che ci invitano a riflettere.

Alfredo Bonomi

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