Il dio che si diverte
di Nicola Zanoni

Di sangue è sporca la vita, ma della vita stessa è quel sangue. La vita vive del consumare se stessa – cioè la vita vive del proprio disfarsi. Questo la rende a se stessa scacco continuo


La vita in fronte alla vita è un gioco crudele, un crudele baratto dell'anima. Questo la rende – la vita.

Ora, i Greci hanno un dio. Un dio crudele e benevolo. Un dio – greco: Dioniso.
Dioniso è giorno e notte, inverno e estate, eterno e mortale, bambino e vecchio, luce e tenebra, dolore ed ebbrezza, perdita e guadagno, strazio ed orgasmo, preda e cacciatore e lama e carne e amaro veleno e dolcissimo miele.

Si sa che un dio mai può apparire com'è
: si sa che altro appare al suo posto. Si sa che di un dio non si sa: si racconta.
E in un mito antichissimo allora Dioniso è un toro che toro non è, è un figlio che figlio non si vuole. Dioniso è il Minotauro.

La storia del Minotauro
è una storia immonda come immonda è la vita – e sacra in massimo grado, poiché appunto immonda fin nell'abisso: questi sono gli dèi.
Narra di un toro bianco, figlio del mare, e di una regina – Pasifae – che di quel toro, folle, s'innamora. E di un artista – Dedalo – dalla regina chiamato a costruire un inganno che il seme del toro imprigioni.
Dedalo inventa una vacca di legno, Pasifae vi si rinchiude, il toro la monta, il seme si rapprende e un figlio nasce. Non toro né uomo.

Ma ciò che né è né non è, né è visibile né si può vedere
.
E allora il Minotauro viene rinchiuso lontano dagli occhi di chi vede, sepolto vivo in una prigione di cunicoli e anfratti e meandri, costretto in un giuoco violento, gettato in un luogo su se stesso avvinghiato, ritorto, invischiato.
Quel luogo che non è un luogo – creato anch'esso da Dedalo – è il Labirinto: un inganno teso alla vita, al cui cuore sta il dio.

Il seme s'aggrappa e s'inerpica. Il seme risale la donna e attanaglia. Chi entra sa che potrebbe non esservi uscita. Il Minotauro ha sorella.
La sorella conosce la strada e la sicurezza del ritorno. Ancora una volta, una sorella inganna il fratello per un uomo venuto da lontano.
Ha nome di Arianna e il filo famoso a lei stessa prima che al fratello fatale sarà. Giacché chi pretende di uccidere un dio di quel dio s'aspetti la morte, e il ritorno.

Teseo porta Arianna con sé, Teseo la seduce, Teseo uccide il mostro-dio nel labirinto, Teseo abbandona in Nasso la rinnegatrice della stirpe, Teseo ancora non cambia le nere vele segno di lutto con quelle bianche della vittoria, come d'accordo col padre, e sempre Teseo lo vede  gettarsi nel mare quando dalla scogliera, quel cupo simbolo scorgendo all'orizzonte, crede il figlio morto per mano del toro.
Ma che Teseo si sia disperato, questo non è dato sapere.

Dunque il Minotauro è Dioniso. Dioniso è il dio e il dio, imbrigliato dall'arte, viene ucciso dall'uomo con la complicità di una donna. Ma un dio non muore.
E un dio fremente – com'è Dioniso – nemmeno.
Nel livore della lama che fende le carni, nel bollore del sangue che evapora nero, nello stridere al suolo delle corna, il dio già se n'è andato, altrove, e altrove ride di qualunque Teseo, di qualunque Arianna, di qualunque toro e prigione e nave e miseria e dolore e dio. E con se stesso giuoca, bambino.

Pare che, come ogni nato di donna, il Minotauro portasse un nome – un nome mortale. Pare che fosse nome regale ed oscuro.
Lui, sorto dal mare suo padre il toro, in grembo di donna gestato, rinchiuso da uomo e morto da dio, nelle segrete stanze, dietro i paraventi, nei bisbigli di lingue agli orecchi, tra bracciali di cortigiane e coperte di principi – lui era 'Asterion'.

Per noi, 'lo Stellante': gli astri lucenti sul blu del suo corpo lo annunciavano.
Di questo – e di altro, che è questo – qui si proverà a raccontare.

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