«Arbeit», lavoro
di Dru

Prende spunto da una risposta data da Piero Calamandrei a don Luigi Sturzo, la disamina del "dramma" di una società fondata sul lavoro



Calamandrei:
“Bisognerebbe (rispondeva a Sturzo) che lei facesse l’esperienza – ma quella vera! – che tocca fare al sindaco di una città di 400.000 abitanti avente la seguente cartella clinica: 10.000 disoccupati; 3.000 sfrattati (sfratti autentici sa!); e 17.000 libretti di povertà, con un totale di 37.000 persone assistite dal Comune.

Scusi, davanti a tutti questi ‘feriti?, buttati a terra dai ‘ladroni’, cosa deve fare un Sindaco?
Può lavarsi le mani dicendo a tutti: Scusate, non posso interessarmi di voi perché non son statalista ma interclassista?

Si fa presto – ed è anche comodo – a lanciare accuse di marxismo a coloro che ‘scendono da cavallo’ per sanare il fratello iniquamente ferito”.


Dru:
Ciò che fonda il lavoro è la creazione come proposizione, ci si propone uno scopo e lo scopo è l'ente creato, non tutti gli enti possono essere creati, non tutti gli enti sono per ciò stessi disponibili e quindi decidibili, sul lato della loro prassi: gli enti increabili sono gli enti indisponibili e per questo motivo che è impossibile fare di loro qualcosa, Dio non è creabile, Dio è eterno; ma dicevo, il lavoro è d'altro canto la creazione come proposizione.

Creato da chi? Da chi dunque pro-pone  la creazione.
La proposta, che significa appunto porre prima, quindi essere la principialità, è la genesi di ogni creazione. Creatore, creato e creatura sono ciò che ci "fa" uomini.
Quando vengono a mancare le proposte in una società e a questa manca la base per creare, la società si svuota non solo della sua ragione, ma del suo essere, perché manca il principio, manca appunto il principio dell'azione, le proposte, il progetto.

E questo è il dramma di una società fondata sul lavoro,
perché nel mancare la proposta, manca la speranza di un risultato, come nel mancare l'inizio manca il fine, e cosa ho detto prima dello scopo?
Ho detto che lo scopo è appunto l'ente creato.

Senza lavoro viene a mancare lo scopo, viene a mancare quindi la terra sotto i piedi,  e sulla base del pensiero occidentale, del "fare", l'uomo è impotente, cioè è incapace di qualsiasi proposta.

Senza proposta manca il senso di questa esistenza, dell'esistenza  di uno scopo e per l'uomo mortale, ancorché non morto, è la sua morte.
Chi si impegna poi, magari anche inconsciamente, nel  sottrarre la proposta, si impegna appunto ad uccidere...

Questo è ciò che dice il dire di Calamandrei a Don Sturzo.


Breve analisi dei termini:


Ciò che fonda il lavoro è la creazione come proposizione significa: il lavoro esiste come lavoro perché chi lavora presuppone di creare e chi crea attraverso il proprio lavoro presuppone l'azione, è l'agire il lavoro.

Ci si propone uno scopo e lo scopo è l'ente creato significa: l'agire come lavoro è l'agire che attraverso un progetto (proposta dello scopo) produce un fine e il fine è quella cosa creata secondo progetto, anche per chi si propone di fare un caffè, questa proposta (progetto, pensiero) ha come fine, appunto, di creare un caffé.

Non tutti gli enti possono essere creati significa: un caffé decido di farlo, e la decisione è originata dalla possibilità, una sberla al Sole no, ci sono cose impossibili da fare o necessarie, queste ultime non rientrano nel dominio del lavoro, che è il dominio del possibile.

Creatore, creato, creatura significa: Il creatore o l'homo faber, creato o gli enti finali, cioè creati dall'homo faber, il mondo e la creatura (era meglio dire creazione) o relazione o azione del produrre che vincola il creatore o demiurgo al creato o cosa fatta o mondo.

Sono ciò che ci fa uomini significa: senza questo significato, l'uomo che è impedito a fare è  l'homo faber che non esiste, simpliciter.
Ogni violenza, e qui badate bene non occorre mandare un uomo in guerra per violarne i principi di umanità, è questa violazione del criterio che lo "fa", del suo significato. Non essere significa appunto non significare.

Non essere tavolo significa non significare tavolo, non essere donna, da parte di un uomo ad esempio, significa non significare donna, non essere homo faber, da parte di un creatore, significa non significare homo faber, significa non creare, significa morire dunque.

Qui l'obiezione potrebbe ribadire, ma anche l'ozio è un modo di fare.
È vero, chi decide di stare in ozio è l'homo faber e in questo il suo significare non viene violentato, ma qui non ci proponiamo di definire l'ozio deliberato come contraddittorio all'homo faber, altrimenti, se l'ozio è una scelta allora l'ozio è quell'ente, quello scopo, creato sulla base di un proprio proponimento, come per ogni altro lavoro. Qui allora non sussiste alcun criterio che fa dell'ozio una violazione dell'homo faber.

Ma noi stiamo appunto dicendo di chi toglie il proponimento
, togliendolo coscientemente o incoscientemente, che significa, togliendolo sapendo di toglierlo o addirittura togliendolo non sapendolo.
Non è in questo meno grave, non è meno grave togliere il lavoro senza saperlo. Solo per la giurisprudenza l'intenzione ha un valore, non per filosofia. Per filosofia ogni valore è un essere voluto.

Il lavoro esiste come lavoro, è tautologia, è identità e significa: la totalità o trascendentalità del lavoro è non solo una sua parte.

Ad esempio il numero
: il numero può esistere come uno e allora esiste come sua parte o specifico e allora il numero esiste in quanto determinato e in questo caso specifico il numero in quanto uno è diverso dal numero in quanto due.
Ma il numero può anche esistere in quanto numero e allora non esiste più come parte di sé ma come suo tutto o "ciò che esso è" nel suo essere tutto di sé e non solo una parte e in questo caso non esiste in quanto parte ma esiste in quanto esistente.

L'esistente è l'identità della totalità delle differenze.

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