E se la religione fosse solo una scusa?
di Nicola 'nimi' Cargnoni

In fondo, qual è la differenza tra le nuove generazioni di immigrati (nati e cresciuti in Italia/Europa) che si arruolano nell’Isis e i ragazzi che si arruolavano nelle BR o nelle organizzazioni terroristiche di destra?


Se a fare da sfondo c’è la Politica o la Religione, poco importa: quel che conta è il disagio, mal espresso, di una parte di gioventù che è fondamentalmente irriconoscente e irrispettosa verso chi l’ha cresciuta. Questo vale per i terroristi di casa nostra, così come per quei ragazzi che vanno a combattere in Siria.

Mi rifiuto di mettere sullo stesso piano i fanatici dell’Isis, nati e cresciuti in quel Medioriente perennemente in guerra, e i giovani di cultura e religione islamica, nati e cresciuti in un Europa ricca di democrazia e libertà, che si arruolano nell’Isis per semplice ripicca o livore.

Vedendo l’intervista di Santoro al giovane italiano
(figlio di immigrati) di Brescia, mi ha colpito il suo rancore nei confronti di chi, sostanzialmente, gli ha permesso di fare una vita migliore rispetto a quella che avrebbe vissuto nel suo paese.
Un’amica mi ha detto che probabilmente è la reazione ai soprusi subiti da piccolo.

Bè, tutti abbiamo subito soprusi da bambini
.
Alle elementari io ero stato preso di mira da un ragazzo che, dieci anni più tardi, sarebbe morto in un incidente stradale. Quando è morto avrei potuto esserne soddisfatto, eppure ne ero dispiaciuto.
E ancora oggi, quando vedo la madre o i fratelli, sono amareggiato perché quella giovane vita non ha potuto avere una chance in più.

Tutto sta nel grado di umanità di cui veniamo investiti e con cui veniamo cresciuti.
Io non sono cresciuto con una cultura dell’odio e del rancore, quindi ho preso i soprusi subiti da piccolo come una prova di crescita che mi ha fortificato. Ognuno è stato preso in giro o maltrattato per qualcosa, per un difetto, per come parlava, vestiva e anche per il colore della pelle. L’importante è farsene una ragione e reagire facendo in modo che noi, per primi, non ripetiamo quei comportamenti.

Proprio ieri un altro amico mi confidava
di essersi confrontato con alcuni immigrati, a suo dire “perfettamente integrati”, che in un qualche modo giustificavano i fatti di Parigi. Bè, significa che “perfettamente integrati” non lo sono affatto, altrimenti condannerebbero (senza se e senza ma) quanto successo, se davvero avessero assimilato la nostra cultura.
La stessa cosa vale per il ragazzo di Brescia che, parlando dell’amico arruolatosi nell’Isis, ammette candidamente che «ha fatto bene a farlo, se era quello che si sentiva».

Invece di “se” e di “ma” ne sento fin troppi
, anche da parte di quegli italiani che ammettono che «sì, effettivamente le vignette di Charlie erano un po’ forti». Ma si parla di vignette. Va bene non scherzare coi Santi, ma fino a prova contraria io di Santi non ne ho mai visti. La fede religiosa, che potrebbe essere potenzialmente una bella cosa, non è compatibile con l’animo umano, sostanzialmente cattivo e prevaricatore. Però la civiltà [di origine] cristiana ha raggiunto un grado di consapevolezza e di emancipazione tale da poter permettersi di scherzare anche coi Santi.

Ed è sbagliatissimo dire che oggi i musulmani fanno quello che facevamo noi secoli fa. Perché secoli fa TUTTI ammazzavano in nome di Dio. I cristiani, ma anche i musulmani.
Con la differenza che i cristiani hanno smesso, da molto tempo. Quindi sarebbe dannoso imputare all’occidente le colpe di atti come quello accaduto a Parigi. Perché fondamentalmente la nostra civiltà, che comunque deve molto alla cristianità, ha saputo scindere cultura da religione, se non altro in buona parte.
Mentre quando si parla di Islam occorre prendere atto che c’è una commistione tra cultura e religione che è difficile poter separare le due cose.

Per l’islamico, anche moderato (ammesso che esista il concetto di moderazione nell’Islam), fondamentalmente la scelta di “uccidere in nome di Dio” non è del tutto condannabile; anzi, talvolta è “giusta” per buona parte di quel miliardo e mezzo di persone che vivono in base a principi e dettami che sono difficilmente compatibili con la nostra cultura.
In questo caso emerge il paragone, anche se un po’ forzato, con quei giovani terroristi che operavano nell’Italia di quarant’anni fa.
Una sorta di fanatismo, di cultura dell’odio, che mal esprimeva un disagio che usava la Politica come scusa, e come arma, per sfogare le proprie frustrazioni.

Chi, oggi, parla di “comunismo” o di “sinistra” riferendosi alle Brigate Rosse commette un errore grossolano, perché quei terroristi mischiavano la fede politica a una cultura deviata, rendendo impossibile la scissione tra le due cose.
La stessa cosa succede con l’Islam e mi viene da sorridere quando qualcuno crede di poter distinguere tra religione e cultura, considerando che in Medioriente la religione impera sull’idea di stato.

E no, non mi vengano a tirare in ballo l’Italia assoggettata al Vaticano.
Lo è per certi tabù, per certi muri ancora da abbattere, ma tutto sommato l’Italia è uno stato laico, dove la donna è tutelata, le religioni anche (e si vede) e dove si fanno le leggi in nome di una uguaglianza UNIVERSALE, che prescinde dalla fede religiosa.

Pertanto c’è da lavorare, e molto, perché questa è una guerra culturale, prima che lotta armata.
C’è da prevenire l’odio, c’è da fare in modo che i figli degli immigrati non vivano un disagio che poi li renda rancorosi e vendicativi.
C’è da fare in modo che questa gente si renda conto di quant’è bella la libertà e di quanta violenza si cela dietro a una religione retrograda, checché ne dicano le arabe che Santoro sguinzaglia in giro, le quali predicano quanto sia bella la loro religione, ma guai a chiedere loro di togliersi il velo.

Un maggiore controllo dell’immigrazione sarebbe un punto di partenza.
Se arrivano in Italia e non trovano lavoro, i loro figli saranno costretti a crescere in uno stato di disagio che li porterà a odiare il paese ospitante, anziché odiare il paese e la cultura che li ha fatti fuggire.
È osceno che ci sia questa irriconoscenza nei nostri confronti, quando sarebbe molto più comodo chiudere i confini.

Ieri alla radio sentivo un medico
che parlava di quante donne arrivano in Italia soltanto per partorire «perché è più sicuro, perché è gratuito».
Mettiamo a disposizione la possibilità di nascere, crescere e studiare, e devo sentir dire a un ragazzo di 17 anni che si ritiene marocchino perché ha subìto episodi di bullismo da ragazzino?
Che poi: quanto sia vero non lo so, perché credo di conoscere abbastanza bene la realtà bresciana e mi capita spesso di vedere gruppi di immigrati molto più numerosi e agguerriti dei locali, quindi lasciamo perdere il vittimismo giustificazionista.

Il reato di irriconoscenza non esiste, ma sarebbe bello spedire in Marocco chi dice di «sentirsi marocchino per ripicca».
Non pretendo di far cambiare idea a chi nasce e cresce in Siria e in Iraq, ma se non riusciamo nemmeno a svelare la bellezza della libertà a chi nasce in Europa, allora significa che le conquiste fatte negli ultimi 3 secoli non servono a nulla.


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