Il presepe della discordia
di Pino Greco

"I leghisti e Le Pen alla battaglia del presepe". Così titolava ieri la Repubblica. Una pagina intera. Non l’articoletto a due colonne del giornale locale...


A due settimane dal Natale l’argomento fa presa, niente da dire. Tocca le corde più sensibili, quelle che si nutrono di memorie e di nostalgia. Ne leggeremo  di tutti i colori. Fino all’epifania. Poi calerà opportunamente il silenzio.

Negli ultimi anni di servizio in una scuola della valle mi sono imbattuto anch’io in queste diatribe.
Accadeva quando, dopo l’Immacolata, un assessore del territorio invadeva i media con denunce, appelli e ammonimenti sdegnati.
Il tutto perché la solita insegnante pasradan pretendeva di attenersi rigorosamente al dettato costituzionale. Evitando discriminazioni per gli alunni di altre confessioni.

Naturalmente alla veemenza integralista si contrapponeva risentita tutta la variegata compagine laicista che lamentava un insulto ai principi del nostro ordinamento. 

Copriti cielo. Manifesti, volantini, articoli ed anche qualche lettera che finiva dritta sul tavolo del preside. Il quale, accortamente, decretava la più ampia libertà per i docenti delle singole classi.
A patto di garantire il ripristino delle strutture prima del riavvio delle lezioni.

Accadeva perciò che alla fine era già tanto che si allestisse un presepio in un angolo dell’atrio.
Ad opera dei bidelli più volenterosi che riaprivano vecchi scatoloni, sempre quelli, e componevano la solita decorosa scenografia.
Con la speranza, ogni anno sempre meno soddisfatta, di fare approdare lì attorno qualche panettone e qualche spumante di ringraziamento.

Il tutto avveniva verso il 22 o  23 dicembre. In extremis.
Nel tiepido apprezzamento di  docenti e genitori, e nel menefreghismo ostentato dei ragazzi che del presepio simbolo di pace e dello spirito universale del Natale, come si continua a pontificare, non gliene poteva fregare di meno.

Già allora, era evidente, sul misticismo e i valori della trascendenza i ragazzi facevano prevalere la concretezza di un Ipod o di uno Smartphone.
E il presepio? Beh, il presepio con le sue suggestioni e suoi giochi di luce viveva in quel paio di giorni e poi per quindici giorni non lo vedeva più nessuno. Perché la scuola, notoriamente, andava in vacanza. 
E il 7 di gennaio era già tutto smontato. Con buona pace di assessori e di quanti implorano: “Ci avete tolto tutto, non toccateci lo spirito del Natale“.

Altra cosa è il Natale che ci portiamo dentro.
Dico, noi che abbiamo messo un piede nella terza età e ricordiamo l’Italia, i paesi, le famiglie del dopoguerra, quando certi valori non dovevano essere imposti nelle aule scolastiche, ma nascevano dalla sobrietà e dall’autenticità dei nostri stili di vita.

Proprio come m’è capitato di ricordali di recente:

Da  “ Bussi OFF – Il paese che non c’è più “ -  Liberedizioni – 2014

“Il bosco mi risucchia anche questa mattina. Così giro di qua e di là . Spazio con lo sguardo a carpire prospettive e suggestioni lontane.  Metto a fuoco uno scorcio sedimentato nella memoria e libero sensazioni sepolte.  Ma non immagino nemmeno lo sconquasso che mi procura calpestare un inatteso tappeto di muschio.
Caz…il muschio !
Un flash di sbigottita tenerezza. Un ricordare trasognato.
Già, il muschio era la pelle soffice dell’inverno.
Quando tutto intorno era avvizzito, ruvido, irto e sbiadito, fuori dai sentieri abituali i passi si succedevano senza rumore e sotto gli aghi di pino si scorgeva il verde cupo del muschio.
C’era quello a filamenti lunghi e radi, ma anche quello spesso e compatto, impreziosito da minuscoli fiori turchese.
Poi c’era il muschio delle rocce. Una moquette rasata di verde pallido. Buona per tenere in equilibrio pecore in processione, pastori e stralunati pellegrini notturni.
I posti del muschio erano invariabilmente quelli degli anni precedenti.
Ma si provava ugualmente il gusto dell’esplorazione, il piacere della scoperta fortuita in un bosco che la stagione e l’inconscio rendevano algido e vagamente minaccioso.
Un certo brivido si provava nell’infilare le dita sotto la crosta umida e ghiaiosa, quasi a penetrare i misteri della terra, con soprassalti di un panico ancestrale popolato di serpenti e di invisibili mostriciattoli.
Si gareggiava in abilità per riuscire a staccare una toppa più grande, ma veniva buona anche una di taglia minima.

La febbre degli allestimenti prendeva tutti, ma il presepio giusto era quello che si componeva a casa di Cleto.
Confesso, provavo una certa invidia per l’illimitata disponibilità di spazi e, soprattutto, per la provvidenziale assenza di mamme e nonne assillanti.
Da lui si poteva segare, spruzzare di vernice, accatastare mattoni incrostati di cemento, impastrocchiare l’argilla, inchiodare alle pareti sfondi di stelle argentate.
Nessuno alle costole, niente brontolii molesti. Solo noi due, in un tandem infervorato, a inventare soluzioni originali per l’illuminazione, a sperimentare materiali inusitati per l’immancabile ruscello con annesso lago e pecore in abbeverata.
Quando la base aveva preso forma, con i tufi ammonticchiati attorno alla capanna di sughero, arrivava il momento del muschio.
Una toppa dopo l’altra, dal fondo di certi scatoloni deformi e mollicci, il muschio risuscitava per simulare un rigoglio naturale nella fissità artificiosa del presepio.
Per animarsi di luci radenti e ombre fugaci. Per abbacinarsi coi bagliori intermittenti di quel paesaggio rigorosamente notturno nel quale l’immaginazione vagava come una steady cam frastornata dal succedersi di visuali, personaggi e atmosfere.
Passavano case, ponti, mulini, zampognari, vecchie filatrici, lavandaie, arrotini indaffarati, fabbri con martello roteante e angeli sospesi a sottili fili di bava.
Tra tufi, mattoni, carta stagnola e compensati, l’unica cosa viva in fondo era il muschio.  Tanto viva che, anche quando alla fine tutto era smontato, incartato e riposto, il muschio serbava a lungo la memoria della sua funzione.
Magari rovesciato alla rinfusa in un angolo della legnaia.
Perfino a primavera, dopo il gelo e le nevicate, quella poltiglia ingiallita evocava con struggente vanità le utopie creative, l’operosità immaginifica del Natale precedente.

… Magia dei presepi.
Qualcuno pretenzioso, dilatato.  Ma i più minuscoli, disadorni, appollaiati a fatica sul piano di una macchina da cucire o in uno spigolo del controbbuffet.
Sempre e comunque adornati da un morbido tappeto di muschio.
Il muschio.  Allora non sapevo spiegarmi il fascino di questa miniatura di    vegetazione. Adesso lo so.
Il muschio è l‘ostinazione a non lasciarsi sopraffare da eventi imposti dall’ordine incoercibile delle cose. Il muschio è la speranza di un rigoglio futuro. E’ la forza generatrice che custodisce i codici della specie.
E’ la vita che non cede alla disperazione e trattiene il fiato.

Sì, quel muschio che un giorno puoi anche strappare alla terra, ma solo per farlo rivivere nel territorio incorruttibile dei sogni.
Nello spazio dove il prodigio di tante vigilie natalizie ritorna sempre uguale a rischiarare le nostre fragili certezze, la nostra incolpevole caparbietà a durare.
Il muschio è la volontà di proteggere riserve essenziali di energia al riparo dei tanti, fottutissimi inverni della vita.”


Natale 2014              P I N O     G R E C O
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