«In nome della Santissima ed Individva Trinita'»
di Giancarlo Marchesi

«Odia la nequizia, ama la pace, punisci il crimine, conserva le leggi e onora i probi». Mettendoci anche quello che oggi definiremmo uno "slogan", quattrocento anni fa, l'architetto "di grido" Giobatta Lantana disegnò gli Statuti di Bagolino



Recenti studi dedicati all’area alpina hanno evidenziato come in molte comunità di valle e di montagna lombarde la normativa statutaria sia rimasta in vigore a lungo, per tutto il corso dei secoli dell’età moderna, senza l’introduzione di modifiche di rilievo.
Durante quel lungo periodo, pertanto, le regole che reggevano la vita quotidiana nell’area lombarda rimasero sostanzialmente immutate fino al termine del XVIII secolo.

Lo statuto aveva il non facile compito di garantire e regolare la convivenza tra gli appartenenti alla medesima comunità, avendo altresì l’ambizioso intento di consolidare gli obiettivi raggiunti tanto in campo economico quanto civile, cercando di proteggere i valori e gli assetti sui quali la comunità stessa si fondava.

Come accennato più sopra, le antiche fonti del diritto locale continuarono a costituire, fino all’avvento di Napoleone, un punto di riferimento costantemente richiamato in tutti gli atti ufficiali, tanto che in molte realtà territoriali furono pubblicate nel tempo successive riedizioni, segno del forte interesse per la conservazione dell’antica normativa.

L’aspetto che, tuttavia, può sorprendere
è l’ubicazione delle più rilevanti permanenze statutarie: esse, infatti, non furono prerogativa delle aree marginali o secondarie, ma le antiche fonti rimasero «lettera viva» in molte aree, dove era venuto maggiormente focalizzandosi l’interesse politico e vi era lo sviluppo di attività economiche di rilievo.
Tale situazione riguardò, in particolare, aree di confine, dove maggiori erano i transiti di uomini e merci e dove emergevano esigenze legate alla sicurezza dello Stato.

Per quanto riguarda, più in specifico il territorio Bresciano, la vitalità dello strumento statutario fu un segno distintivo della Comunità di Bagolino, posta nella Valle del Caffaro, ai confini estremi dello Stato veneziano.
Una realtà, quella di Bagolino, che poteva contare su un florido tessuto economico che poggiava sull’attività siderurgica, l’allevamento del bestiame e l’attività casearia. E non è cero un caso se Bagolino, presidio strategico sul piano militare lungo la linea di confine con il Principato di Trento, ottenne nel 1473, prima di altre realtà territoriali bresciane, l’approvazione dei propri statuti da parte della Repubblica di San Marco.

Nel 1612 la comunità bagolinese incaricò don Giuseppe Benini di rivedere, aggiornare e tradurre quegli antichi statuti.
Coadiuvato dai conterranei Giovanni Bazzani, Giulio Robeici, Francesco Campadelli e Alberto Buccio, il Benini condusse a termine l’opera che venne pubblicata due anni dopo, con un pregevole frontespizio disegnato dall’architetto Giovanni Battista Lantana.

Oggi, a distanza di quattrocento anni dalla stampa della revisione, l’Associazione «Habitar in sta terra» offre alla comunità locale e agli studiosi l’edizione anastatica uscita dai torchi dello stampatore Vincenzo Sabbio nel 1614.

L’interessante operazione culturale, che è accompagnata da un ciclo di conferenze che prede avvio quest’oggi, ha trovato il supporto del Comune di Bagolino, della Fondazione della Comunità Bresciana, della Cassa rurale Giudicarie Valsabbia Paganella e il patrocinio degli Atenei di scienze lettere ed arti di Brescia e Salò.

.in foto: il frontespizio, una particola di una pagina interna e lo stemma di Bagolino




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