«Più buio di mezzanotte»... non può fare
di Nicola Cargnoni

Nelle sale dal 15 maggio la storia ‘vera’ di un adolescente omosessuale e della ricerca della sua identità di genere; oggi Davide è un’affermata drag queen nei locali della capitale


È curioso notare come i migliori film italiani degli ultimi anni siano le opere d’esordio dei rispettivi registi.
Ed è ancora più curioso rilevare come le tematiche si allontanino in maniera drastica da quei generi che sembrano spopolare nei cinema di oggi: commedia sentimentale e melodramma.

Si va dalle allucinate (e allucinanti) dinamiche famigliari di «È stato il figlio» di Daniele Ciprì fino al degrado e alla violenza dei quartieri di Roma raccontati in «Et in terra pax» di Coluccini e Botrugno, passando dalle difficoltà di una ragazzina, tra religiosità ed emarginazione, in una città della Calabria in «Corpo celeste» di Alice Rohrwacher.
Personaggi borderline, per lo più che vivono varie fasi della giovinezza; registi giovani come i protagonisti dei loro film; tematiche che vanno dal degrado sociale allo scontro generazionale.

È in questo contesto che Sebastiano Riso ci porta nella sua Catania e ci racconta l’adolescenza di Davide Cordova, classe 1983, che ora è conosciuto come la drag queen Fuxia Loka nei locali di Roma.
Davide è un adolescente gay che si scontra in maniera violenta con un padre incapace di affrontare la metamorfosi fisica e interiore del figlio; Davide scappa di casa, conducendo una vita di strada e ‘rifugiandosi’ presso alcuni amici, tutti disperati e (disperatamente) alla ricerca di una propria identità e di un proprio posto nel mondo.
Davide è un ragazzino puro, fragile, che ci prende per mano e ci scaraventa in faccia il suo viaggio alla ricerca di sé stesso. Conosceremo personaggi sinistri, torbidi e spregevoli, ai quali si contrappone la solarità e la positività della sgangherata ‘compagnia gay’ del protagonista.

La storia è piuttosto fragile, proprio come il personaggio che ci racconta, e mette molta carne al fuoco; ma è un difetto perdonabile, se non altro per il coraggio che Riso ha avuto nel girare un film d’esordio che ha come base una tematica così forte.
Gli viene in soccorso un cast d’eccezione, che conta tra le proprie file Vincenzo Amato (il padre di Davide), una convincente Micaela Ramazzotti (la madre) e il sempre ottimo Pippo Delbono (il pappone); tutti bravissimi, mentre è da sottolineare la prestazione dell’esordiente Davide Capone nei panni del suo omonimo adolescente.

La storia di Davide è un viaggio nei gironi infernali dell’oscurantismo, dell’incomunicabilità e della difficoltà di essere gay. Il padre, violento e ottuso, fa da alter ego a una splendida Micaela Ramazzotti che incarna la madre comprensiva, affettuosa e sensibile, ma che ha il grosso limite di essere piuttosto confusa e molto debole e, quindi, incapace di difendere il figlio.
I riferimenti al cinema passato sono tanti, si va da un evidentissimo Truffaut a un meno evidente Gus Van Sant, mentre la combriccola che vaga per Catania alla ricerca di una propria personalità (e anche alla ricerca di supermercati da svaligiare) spazia molto tra i film (come, per esempio, «Ladri di biciclette») dove la disperazione dei protagonisti riflette quella dell’ambiente urbano che attraversano.

Un film moralmente violento, dunque, dove Davide affronta il proprio percorso. Il protagonista perde la propria purezza, cerca di modellare il proprio corpo adattandosi a quella ricerca di identità che lo sconvolge.
Gli amici di Davide compongono un eterogeneo mix di personalità, che però restano sempre ai margini della società (e dell’inquadratura, appunto): sono belle anime intrappolate in un corpo non loro, che portano addosso qualcosa che ‘stroppia’, rendendoli irrimediabilmente diversi e incapaci di integrarsi in una società che li guarda storto; l’ambiente dei vicoli di Catania di notte ci mostra quella fetta di umanità che, di giorno, disprezza i nostri protagonisti, salvo poi andare a cercarli per un po’ di compagnia notturna; l’adolescenza e l’omosessualità sono viste come ‘mali’ da curare, mentre la figura di Davide rappresenta l’adolescente da ‘normalizzare’.

Insomma, le tematiche toccate sono tante, come è normale che accada in un film così coraggioso; il titolo deriva dal proverbio “più buio di mezzanotte non può fare”, che significa che peggio di così non può andare.
E nell’epilogo Davide prende atto di questo, affrontando la madre in una scena delicatissima, dove il regista lascia piena libertà di interpretazione.

Dopodiché il padre ritrova Davide, portandoselo con sé, ricorrendo alla violenza.
Alla quale il ragazzino reagisce, portandosi dentro (e fuori) i segni e le lacerazioni di una battaglia con sé stesso, e col mondo, che dura tutto il giorno, tutti i giorni.

Nelle sale dal 15 maggio e, soprattutto, presentato alla «Semaine de la critique» al Festival di Cannes.

Bellissimo, delicato, violento, commovente e dolce: ****.


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