Il Rugby è morto, viva il rugby
di Marisa Viviani e Luciano Saia

Inutile nascondersi dietro un dito, la fallimentare partecipazione della Nazionale Italiana di Rugby all'edizione 2014 del Torneo delle sei Nazioni è mastodontica, e non c'è dito sufficientemente grande che possa occultarla


Non ci sono attenuanti, né ci devono essere; il diffuso costume di trovare sempre giustificazioni alle proprie responsabilità non deve trovare accoglienza in una tradizione come quella del nobile sport del rugby, dove la nobiltà non è sinonimo di aristocrazia, ma di esemplari principi e regole di gioco e di comportamento sul campo.

Il grido di dolore degli appassionati di rugby si leva alto e irrimediabile, in particolare in quest'ultima partita Italia-Inghilterra, in cui la nostra Nazionale è uscita a brandelli e umiliata come mai accaduto dall'ammissione al torneo nel 2000.

Abbiamo seguito le tre partite di chiusura del torneo, tra cui quella della nostra Nazionale, sullo schermo gigante nella sede del Rugby Botticino.
Quando l'arbitro ha fischiato la fine della partita, gli spettatori, quasi tutti giocatori o ex-giocatori, sono ammutoliti; dopo tanto clamore, incitazioni, commenti, amara ironia, imprecazioni e battute salaci espresse senza mediazioni d'etichetta, è calato il silenzio, quello della disillusione e dello sconforto; e anche un po' quello dell'imbarazzo per una prestazione che dovremmo definire “da dimenticare”, se non fosse che invece deve essere tenuta ben presente nella memoria, perchè questo sport, assurto da pochi anni all'attenzione del grande pubblico, è oggi a rischio di perdere il favore degli spettatori e soprattutto l'interesse dei giovani e dei tesserati alla FIR (Federazione Italiana Rugby), perciò deve essere ricordata per capire e rimediare agli errori, e alla figuraccia fatta davanti alla platea rugbystica internazionale.

Il pesante giudizio che esprimiamo non riguarda il fatto che la Nazionale venga sistematicamente sconfitta, anche se Si va sempre in campo per vincere, come sostiene il vero agonista; e certo è che dopo anni di competizioni ad alto livello tecnico un salto di qualità nelle prestazioni individuali e di squadra dovrebbe essere consolidato.

Il fatto è che la squadra dà prove incostanti
, è spesso deconcentrata, ripetitivamente soggetta a falli ricorrenti e ad errori tecnici di base, e molto esposta allo stress psicologico, soprattutto nel secondo tempo quando si verifica la perdita di lucidità e il crollo della capacità di controllo sotto la pressione degli avversari, che invece dimostrano al contrario una capacità di recupero delle motivazioni e di reazione alle difficoltà.

Fragilità psicologica
, crollo fisico, inadeguata organizzazione del gioco e dell'impostazione tattica sul campo, complessivamente limiti irreparabili per il raggiungimento di prestazioni soddisfacenti, che nelle loro espressioni più eclatanti portano a risultanti imbarazzanti come quelli di Italia-Inghilterra: 11 a 52. Mai cucchiaio di legno (1) ricevuto fu pesante come piombo.

Anche se il terzo tempo
aiuta a portare via amarezze e a sciogliere dolori fisici e morali, a festa finita resta il dubbio sul futuro di questo sport, che forse riflette, come in altri settori della vita economica e sociale, la difficoltà di un Paese in profonda crisi.

In ogni caso il rugby, nella sua filosofia di gioco e di relazione sul campo, resta uno sport di alto valore formativo, la cui conoscenza e pratica aiuta alla crescita sociale oltre che fisica e motoria.
Per questo, anche se oggi il rugby è morto, non ci stancheremo di sostenerne la diffusione; e così, W IL RUGBY , che insegna a non arrendersi, a sostenere il compagno, ad andare avanti anche se la palla passa indietro.

Marisa Viviani con Luciano Saia

(1) Il cucchiaio di legno viene attribuito alla squadra che perde tutte le partite e si classifica all'ultimo posto nel torneo.

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