Dalla finestra
di Itu

Sapere quali sono le mie parti animali mi rassicura: posso allora guardare le cose della vita come alla finestra me e il gatto del giardino

 
Io ed il gatto rosso che ha deciso la residenza nel giardino di casa abbiamo in condivisione delle rassicuranti abitudini, adesso che inizia il freddo lui viene alla finestra nell’orario del suo pasto giornaliero, guarda se prendo la tazza dove mescolo gli avanzi, si stira lungo sullo stipite, sbadiglia e inizia a leccarsi  nell’attesa.
 
Io lo guardo nel suo stesso modo strisciante e cauto, non voglio irritare i suoi sensi allertati dalla fame, lui conosce i miei tempi e ci sfidiamo negli imprevisti del rito diversi dal solito.
Il suo premio è un pasto, a volte una carezza e uno sguardo di intesa prima di tuffarsi a mangiare, poi ognuno traffica come può nella giornata.

Ma alla finestra della cucina lui viene ancora anche quando non si aspetta di mangiare ed allora mentre sbatto, lavo, frullo e taglio ci studiamo.
Lui vede ed osserva me che mi muovo dentro un posto senza prato, senza sabbia e terra dove lasciare umori, tra rumori improvvisi di minipimer e frullatori, tra odori che stordiscono e soprattutto impegnata in attività sconosciute alla sua sopravvivenza.

Non chiede di capire, la sua presenza è.
Io posso invece pensarmi gatto, avvolta dalla rassicurante folta pelliccia e guardare oltre il vetro della finestra la prospettiva di colori odori e suoni che sollecitano le percezioni d’animale.

Posso essere gatto e posso anche umanizzarmi con tutto l’architrave che imposta l’intelligenza diversa.

Questo esercizio mi serve a risolvere le prospettive quando mi manca aggancio empatico relazionale, quando sfinita mi domando perché sequenze ripetitive quotidiane possono essere viste con curiosità da un animale, allora sono grata al gatto rosso, perché mi ricorda che animale lo sono ancor prima di esser donna.


 
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