Determinismo: la perdita della verginità
di LoStraniero

Ho seguito su queste pagine alcuni articoli e relativi commenti e discussioni nei quali si parlava di determinismo...

 
... Allora mi è venuta in mente una conferenza tenutasi a Londra qualche tempo fa, sui personaggi dei Promessi Sposi. Voi direte: che c’entra?
In questa conferenza, lunga è barbosa, gli oratori, preoccupati di mostrare più la loro arte oratoria che la psicologia dei vari personaggi, si dilungavano sui caratteri delle varie figure del capolavoro manzoniano.
 
Trovai Don Ferrante molto interessante.
Egli sosteneva che, poiché la peste non è sostanza, né accidente, allora non esiste. E mantenne quest’assunto anche quando, ammalato di peste, fu costretto a letto e ne morì.
Alla fine della conferenza s’interpellò il pubblico per sapere quante persone avessero letto il romanzo di Manzoni. Si scoprì così che, dei presenti, nessuno l’aveva letto.
 
Allora mi accingo io a l’ardua impresa, a colmare questa vergognosa lacuna.
Parlerò perciò dei Promessi Sposi.
 
La scienza moderna nasce come prodotto di quella rivoluzione scientifica che, tra il cinquecento e il seicento, cambiò il modo di intendere la conoscenza umana.
Questa scienza è nata dall’intendere la natura dal punto di vista matematico così come sostenuto da Galilei, che fondò quel metodo sperimentale su cui ancora oggi si fonda la scienza.
 
L’universo ha una struttura matematica, come dice Galilei nel Saggiatore:
“La filosofia è scritta in questo grandissimo libro, che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi, ma non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri né quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, e altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro labirinto”.
 
Con la scienza galileiana cambia anche il modo di concepire la natura: una grande rete di rapporti di causa ed effetto.
A completare questo quadro fu poi Newton, il quale, con i suoi Philosophiae Naturalis Principia Mathematica, pose definitivamente le basi della fisica moderna e con essa della sua concezione deterministica dell’universo.
 
In cosa consiste allora il determinismo scientifico classico?
Consiste nel sostenere che la conoscenza dello stato di un sistema fisico (posizioni e velocità) in un particolare istante, anche arbitrariamente scelto, permette di determinare con assoluta precisione ed esattezza lo stato di tale sistema in qualsiasi altro momento, sia passato sia futuro.
 
Il francese Laplace, così si esprime in proposito:
“Un’intelligenza che, per un istante dato, conoscesse tutte le forze da cui la natura è animata e la situazione rispettiva degli esseri che la compongono, se fosse abbastanza vasta da sottoporre questi dati ad analisi abbraccerebbe nella stessa formula i moti dei corpi più grandi dell’universo e quelli dell’atomo più leggero: per essa non ci sarebbe nulla d’incerto, e il futuro come il passato sarebbe presente ai suoi occhi”
 
Il determinismo scientifico classico possiede le seguenti tre caratteristiche:
la reversibilità
la neutralità del ruolo dell’osservatore
la linearità.
 
Reversibilità.
Ogni fenomeno fisico è reversibile. Se un dato sistema fisico è passato da uno stato iniziale A ad uno stato finale B, è sempre possibile farlo tornare esattamente allo stato A invertendo il segno delle forze che vi sono state applicate. Il sistema può muoversi indistintamente verso uno stato successivo o verso uno stato precedente.
La cosa non ha alcuna particolare rilevanza. In un sistema reversibile, dunque, non esiste nessuna direzione temporale privilegiata, nessuna freccia del tempo: il passato e il futuro sono perfettamente equivalenti, interscambiabili.
 
Ruolo dell’osservatore.
Lo scienziato osserva la natura in modo asettico, neutrale, oggettivo. Con l’avvento della scienza galileiana, la natura assume i caratteri dell’oggetto, cioè di qualcosa che sta di fronte al soggetto conoscente.
La presenza dello scienziato che osserva il fenomeno naturale, però, non influisce per niente sul modo in cui tale fenomeno si manifesta. Lo scienziato è soltanto l’occhio che osserva oggettivamente i fenomeni. Il fenomeno fisico non dipende dalla presenza dello scienziato, il quale si limita a osservarlo e a scoprirne le leggi.
 
Linearità.
In un sistema fisico, la variazione dello stato iniziale A produce una variazione dello stato finale B che è proporzionale ad A. Ovvero, una piccola variazione di A provoca una piccola variazione di B, così come una grande variazione di A comporta una grande variazione di B. Se si mutano le condizioni dello stato iniziale del sistema, quindi, le condizioni del suo stato finale cambieranno proporzionalmente alla variazione dello stato iniziale.
 
La crisi del determinismo consiste nella perdita delle tre caratteristiche enunciate.
 
La prima caratteristica del determinismo che fu messa in discussione fu la reversibilità.
Il premio Nobel Ilya Prigogine, a proposito delle macchine termiche introdotte dalla prima Rivoluzione Industriale, dice:
“Lo spettacolo delle macchine termiche, delle rosseggianti caldaie delle locomotive in cui il carbone brucia senza ritorno per produrre il movimento, stabilisce un abisso invalicabile tra lo spirito classico e la cultura del XIX secolo”
“La fisica credette di poter trascurare che ciò che era consumato dalle macchine a vapore spariva senza ritorno. Nessuna macchina termica restituirà al mondo il carbone che ha divorato”.
 
Il problema dell’irreversibilità dei processi fisici aveva quindi fatto il suo ingresso nella scienza.
Non era per niente vero che, per ogni sistema fisico passato da un determinato stato iniziale A a un determinato stato finale B, fosse possibile, invertendo il segno delle forze coinvolte in tale trasformazione, ripercorrere il cammino contrario, ritornando così dallo stato B allo stato A.
 
Nelle trasformazioni termiche, infatti, qualcosa si perde definitivamente, in modo irreversibile. Se si brucia un pezzo di carta, si producono cenere, calore e fumo; il pezzo di carta è perduto per sempre, e non esiste alcun processo fisico inverso capace di ritrasformare questa cenere, questo calore e questo fumo nel pezzo di carta originario.
 
Di conseguenza, cade anche la tesi dell’equivalenza tra passato e futuro: esiste una direzione temporale, una freccia del tempo, che conduce dal passato al futuro, impedendo il cammino inverso; una freccia del tempo non limitata alle trasformazioni termiche, ma che si estende a tutti i processi fisici.
“Mentre le leggi della fisica classica negavano la freccia del tempo, oggi possiamo affermare che il divenire irreversibile segna tutti gli enti fisici”
 
La seconda caratteristica del determinismo che fu messa in discussione fu il ruolo dell’osservatore. L’osservatore non è più neutrale.
Può l’atto dell’osservazione modificare lo stato dell’oggetto osservato?
Per rispondere a questa domanda occorre riferirsi alla Meccanica Quantistica.
 
Le basi della Meccanica Quantistica sono poste nel 1900 da Max Planck, il quale introdusse il concetto di quanto.
Planck ipotizzò che gli scambi di energia non avvenissero in modo continuo, bensì attraverso piccole quantità discrete di energia che egli chiamò appunto “quanti”. Il fiume che scorre davanti a me sembra un flusso continuo, omogeneo, formato apparentemente da un’unica massa d’acqua che fluisce come una sola unità in movimento.
 
Oggi, sappiamo che non è così.
Il fiume che fluisce davanti ai miei occhi non è per niente un’unica massa d’acqua, continua e omogenea, ma, al contrario, è composta di miliardi e miliardi di minuscole molecole d’acqua che procedono assieme, formando in questo modo un flusso discreto di particelle così piccole e numerose da darci, però, l’impressione della continuità e dell’unità del fiume stesso. Allo stesso modo, l’energia, secondo Planck, non è scambiata in modo continuo, ma attraverso questi piccoli pacchetti discreti: i quanti.
 
La tesi di Planck fu ripresa nel 1905 da Einstein, che la applicò nella sua spiegazione dell’effetto fotoelettrico: anche la luce, secondo Einstein, si comporta in certe situazioni come se la sua propagazione non avvenisse in modo continuo, bensì attraverso quantità discrete, veri e propri quanti di luce, cui attribuì il nome di fotoni.
 
Nel 1913, la teoria quantistica di Planck permise al danese Niels Bohr di elaborare il suo modello atomico, superando in questo modo quello del maestro Rutherford (che paragonava l’atomo a un piccolo sistema solare).
Il modello di Bohr prevedeva che gli elettroni (di carica negativa) “girassero” intorno al nucleo dell’atomo, formato da protoni (di carica positiva), in modo tale, però, che stessero sempre e solo su un certo numero di orbite “permesse”, a ognuna delle quali corrispondeva un ben definito livello energetico. Anche la disposizione dell’elettrone intorno al nucleo era adesso descritta in maniera discreta, e non più continua.
 
Con la quantizzazione del modello atomico assistiamo anche al passaggio dal concetto di “orbita atomica” a quello di “orbitale atomico”.
Non possiamo determinare in modo preciso la posizione dell’elettrone nel suo velocissimo moto intorno al nucleo (come possiamo invece fare per i pianeti in ogni istante del loro moto di rivoluzione attorno al sole), ma possiamo però individuare le zone dello spazio circostante al nucleo in cui è più probabile trovarlo: a questo spazio fu assegnato il nome di orbitale.
In tal modo, la probabilità entrava prepotentemente anche in questa nuova teoria fisica.
 
Già uno dei padri della Meccanica Quantistica, Werner Heisenberg, aveva capito che l’interpretazione probabilistica della Fisica dei Quanta, come lui spesso la chiama, stava rompendo i ponti con il determinismo di stampo newtoniano:
“Per questa ragione il risultato dell’osservazione non può essere generalmente preveduto con certezza; ciò che può essere preveduto è la probabilità di un certo evento […] La funzione di probabilità non deve, come fa il procedimento normale nella meccanica newtoniana, descrivere un certo evento ma, almeno durante il processo d’osservazione, un complesso di eventi possibili”
 
L’impossibilità di determinare contemporaneamente la posizione e la velocità dell’elettrone è espressa da uno dei pilastri della Meccanica Quantistica, il principio d’indeterminazione formulato dallo stesso Heisenberg nel 1927.
 
Per determinare la posizione di un elettrone, per “vederlo”, dovremmo “illuminarlo” con un raggio di luce, in altre parole con un fascio di fotoni. Tuttavia, l’elettrone, “colpito” dal fascio di fotoni, finirebbe per assorbirne l’energia, e ciò muterebbe la sua traiettoria, la sua posizione. In questo caso, quindi, conosceremo la posizione dell’elettrone, ma saremo del tutto incapaci di sapere dove quest’ultimo sia andato a finire dopo aver assorbito l’energia fotonica. In conclusione, quando cerchiamo di determinare la posizione di un elettrone, sappiamo che non ci sarà permesso conoscerne con esattezza la velocità; quando invece ne vogliamo conoscere la velocità, non saremo in grado di determinarne la posizione.
 
E questo perché la nostra osservazione, e gli strumenti con cui abbiamo compiuto tale osservazione, hanno influito in modo decisivo sull’evento che volevamo conoscere.
Lo stesso Heisenberg afferma che tali situazioni sperimentali sembrano “indicare che l’osservazione gioca un ruolo decisivo nell’evento e che la realtà varia a seconda che noi l’osserviamo o no”.
“Noi dobbiamo ricordare che ciò che osserviamo non è la natura in se stessa ma la natura esposta ai nostri metodi d’indagine”
 
La terza caratteristica del determinismo che è stata messa in discussione è la perdita della linearità.
Immaginatevi un campo da tennis, dove si stia svolgendo la partita del secolo. Gli spalti sono gremiti, le telecamere di tutte le televisioni del mondo riprendono l’incontro.
 
La posta in palio è enorme: il vincitore si gioca, oltre a un premio stratosferico, anche l’immortalità nella storia del tennis.
I due giocatori esausti giungono all’ultimo gioco in perfetta parità. Uno dei giocatori batte l’ultimo servizio: a questo punto, chi sbaglia, perde tutto; chi vince, vince tutto.
Mentre ognuno di loro risponde e contrattacca con determinazione agli assalti dell’avversario, la palla, all’improvviso, colpisce il nastro della rete, e si libra in aria, in direzione perfettamente verticale, finché la sua velocità non si annulla del tutto. La palla è ora sospesa a mezzo metro dal nastro, esattamente sopra la rete.
 
Quando la palla inizia la sua inevitabile ridiscesa, gli occhi di tutti gli spettatori del mondo sono ansiosamente rivolti su di essa. Un silenzio quasi sacro s’impadronisce del campo da gioco. La palla sta per ricadere nuovamente sul nastro.
 
Che cosa succederà a questo punto? Da quale parte del campo andrà a finire, decretando in questo modo la vittoria dell’uno e la sconfitta dell’altro? Il destino di ciascun giocatore è forse legato a un sottile filo di vento che potrebbe deciderne, anche di poco, la traiettoria? O è legato alle minuscole increspature del nastro consunto, che potrebbero spedire la palla, ricaduta nuovamente su di esso, da una parte anziché dall’altra? O, invece, quel po’ di terra che si è attaccata alla superficie della palla, durante l’ultimo rimbalzo sul campo, non potrebbe alterare il suo moto di ricaduta in modo infinitesimale ma sufficiente a determinare l’esito finale della partita?
 
Come vedete, una seppur minima variazione nella ricaduta della palla può avere conseguenze imprevedibili e assolutamente divergenti, decidere la fortuna dell’uno e sancire il declino dell’altro. Gli esperti chiamano questa situazione dipendenza sensibile dalle condizioni iniziali.
 
Perciò non è più vero che le condizioni dello stato finale sono proporzionali a quelle dello stato iniziale il che implicherebbe relazioni lineari. La cosa è stata scoperta negli anni ’60.
E fu così che il determinismo classico, quello di Newton e di Laplace, perse la sua verginità.
 
Come sapete Renzo e Lucia riuscirono a sposarsi ed ebbero diversi figli.
 
LoStraniero
 
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