Il campo lungo
di LoStraniero

Il pullman della gita percorreva, lungo il corso del fiume, la strada verso il mare. Questo doveva essere perň lontano perché si era ancora nella zona delle colline...

 
...a una collina seguiva un’altra collina e poi un’altra e poi un’altra ancora, tutte uguali.
 
Una volta finite le colline forse si sarebbe potuto scorgere il mare.
A percorrere questo tipo di strade che “da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude”, piuttosto mi annoio e allora “nel pensier mi fingo” anche se, quando sono in auto, è pericoloso.
 
Ad aggravare questo senso di oppressione eravamo capitati dietro a un camion il cui cassone raffigurava in campo lungo, sulla parete posteriore, la scena finale di un film famoso con la scritta “The end”.
A me questo “The” mi è stato sempre antipatico e, a parte la pronuncia che mi costringe a sputacchiare, non si capisce perché lo debbano mettere prima di “end”.
 
Quando appariva quella scritta, nella sala del cinema del mio paese, mi dispiaceva sempre, anche se il film non era a lieto fine.
Io, che non ho studiato, mi sono formato in quella sala.
E’ lì che ho imparato a distinguere il bene dal male, che ho desiderato di scoprire il mondo e che ho imparato a rispondere “può darsi” alle domande difficili.
 
E’ da allora che amo il colore della Technicolor, morbido e delicato, che amo il girare al contrario delle ruote dei carri, che amo i paesaggi delle montagne rocciose, che amo la dissolvenza di un’immagine nell’altra.
I miei eroi li ho conosciuti lì e ricordo i nomi di tutti gli attori di quel tempo anche di quelli di secondo piano.
 
Vi ricordate per esempio di Jeff Chandler? Se n’è andato nel ’61 a 42 anni.
E di Laurence Harvey?  Se n’è andato nel ’73 a 46 anni.
E di Jeffrey Hunter?  Se n’è andato nel ’69 a 43 anni. 
E di Audie Murphy, il soldato più decorato d’America nella II guerra mondiale, oltre che attore? Se n’è andato nel ’71 a 46 anni.
E di Anthony Dexter?  Se n’è andato nel 2001 a 88 anni.
I miei eroi sono tutti morti: se ne sono andati in silenzio, senza clamori.
Degli attori di oggi non ricordo neppure il nome.
 
Immerso in queste fantasticherie non mi ero accorto che le colline erano finite.
Il mare però non si vedeva ancora.
Una distesa lunga di campi, coltivati e no, quasi tutti verdi ma interrotti ogni tanto da rettangoli gialli di fiori di colza degni di un quadro di Van Gogh o da specchi d’acqua animati da fenicotteri e da gallinelle, si stendeva a perdita d’occhio fino all’orizzonte.
Cavalli bianchi dalla coda lunga pascevano liberamente nella brughiera.
Mi ricordarono la mia piccola cavalla, quella che trainava il carro o il calesse quando con mio padre si andava al campo lungo: lei purtroppo non era mai libera.
 
Il campo lungo era una striscia di terra stretta ma lunghissima in fondo alla quale si scorgevano alberi. Sotto gli alberi c’era un pozzo dal quale si traeva dell’acqua con una noria.
La cavalla tirava una barra seguendo un percorso circolare e la noria rovesciava i suoi catini in una vaschetta di raccolta da dove l’acqua veniva incanalata in vasche più grandi che servivano alla macerazione della canapa.
Il posto era fresco e ombreggiato ed era frequentato anche da quelli dei campi vicini per la pausa pranzo e per rinfrescarsi ogni tanto dalla calura estiva.
 
A volte vi trovavo anche Maria, una ragazza mora della mia etĂ , con grandi occhi neri.
Quello era un posto che mi piaceva. Mi ci fermavo ogni volta che finivo di sarchiare una fila di piantine.
Quella sosta per me era una specie di traguardo, un premio dopo una fatica bestiale, una specie di paradiso terrestre.
Un giorno la cavalla, che riposava sotto un albero, non so come si liberò e fuggì per la campagna. Allora tutti gli uomini che erano là si mobilitarono per ricercarla. Fu così che restai solo con Maria.
 
Eravamo seduti sui bordi del canale ad ascoltare il vento che spirava tra i rami delle albere.
Le foglie vibravano dolcemente. Nelle vasche al sole l’acqua chiara luccicava.
A un certo punto un refolo improvviso scompigliò i capelli di Maria. Lei mi guardò. Aveva una strana luce negli occhi. Il cuore mi traboccò.
Da lì a poco tornarono gli uomini con la cavalla tutta sudata. La legarono e la picchiarono.
Povero animale! Aveva pagato caro quello scampolo di libertĂ .
 
Il pullman proseguiva imperterrito nella sua forsennata corsa in quella distesa verde.
Era il campo piĂą lungo che avessi mai visto.
Ora le coltivazioni erano finite e piccoli stagni si alternavano ad arbusti verdi e bassi.
Non so per quanto tempo il pullman continuò la sua corsa, ma a un certo punto si fermò di fronte a un grande prato perfettamente tenuto e rasato. Giardinieri manovravano attrezzi in alcuni punti di quel bellissimo posto. Era un campo più lungo che largo, alla fine del quale s’intravvedeva un luccichio intenso: il mare.
 
Scesi dal pullman e mi avviai verso quelle luci dorate. Forse si era già al tramonto: se no perché quello scintillio colorato?
Non capivo perché il pullman si fosse fermato proprio là.
Non capivo perché in quel campo ci fosse quel prato così curato e ben tenuto.
Non capivo neppure perché dal pullman fossi sceso solo io.
Mi girai a guardare. Gli amici erano tutti addossati ai finestrini e mi guardavano, ma senza salutare. Non ridevano. Non piangevano.
 
Proseguii il mio cammino verso il mare.
Giunto alla riva, in campo lungo, scorsi un veliero che a vele spiegate salpava per non so dove.
Sulla vela principale recava una scritta grande: THE END.
 
In un punto laggiù in fondo a quel campo grandissimo dove il mare si confondeva con il cielo, mi sembrò di vedere delle albere.
Anche il sole se n’era andato e già qualche stella aveva alzato le tende della sua finestra in quel grande cielo.
 
“Così tra questa immensità s'annega il pensier  mio: e il naufragar m'è dolce in questo mare”
 
LoStraniero

 
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