La Parrocchiale di S. Zenone a Ono Degno
di Alfredo Bonomi

Chi oggi giunge a Ono Degno, oltre a rimanere sorpreso dalla nobiltŕ di parecchie antiche dimore, rimane subito colpito dalla maestositŕ della chiesa parrocchiale

 
Una cattedrale settecentesca nelle montagne valsabbine.
Imponente e nel medesimo tempo armonica con linee eloquentemente raccordate per condurre una sintesi architettonica di alto livello, sembra la risposta della creativitĂ  umana alla bellezza della Corna Blacca, regina delle montagne della Valle Sabbia, che domina incontrastata il paesaggio della valle del Degnone, cuore della Pertica e di una storia non banale.
 
Il pensiero di fronte a tanta imponenza corre subito ai secoli passati.
Le fonti ci dicono che nel 1410 S. Zenone (anche la dedicazione al santo Vescovo di Verona è tutto un programma) era già Parrocchia florida dal punto di vista economico con un censo ecclesiastico due volte superiore a quello della Pieve di Savallo.
Le rendite venivano da beni terrieri ubicati nella Pertica ma anche dalle compartecipazioni nel mulino della comunitĂ  e nel forno fusorio ubicato a fondo valle.
Non mancavano terreni nella zona del Pedemonte.
 
Un aspetto particolare ha concorso a rendere significativa questa chiesa e cioè il legame con le maestranze impiegate nel forno fusorio che fu determinante per la crescita del culto della Vergine e per la costruzione e l’abbellimento della chiesa stessa.
Un antico registro, precisamente il “Libro de la scola de lamadona nel forno de Ho de la fraternita" iniziato nel 1527 e continuato sino al 1636, che fissa la vita religiosa ed amministrativa di quella che in linguaggio moderno possiamo chiamare la “Confraternita della Madonna delle maestranze del forno fusorio di Ono”, permette di ripercorrere la prima fase della costruzione della chiesa attuale e di scoprire le presenze artistiche, prima dell’ultima e definitiva sistemazione avvenuta nel 1700.
 
Così sappiamo di artisti di collaudata fama, come il pittore Zenon Veronese, gli intagliatori Galluzzi e Richiedei, che vennero incaricati d’arricchire la chiesa con le loro opere.
Per quanto riguarda l’aspetto architettonico dal 1614 al 1620 compaiono i nomi dei “magistri comaschi” Giovanni  Angelo e Giacomo Beltrami.
 
E’ proprio a partire da questi anni che maturò l’idea della totale ricostruzione della chiesa cinquecentesca.
Iniziando dal rifacimento del presbiterio nel 1634 i lavori continuarono per tutto il 1600 e si protrassero sino alla metĂ  del 1700 con la costruzione delle quattro cappelle laterali, la sostituzione definitiva della navata, la costruzione della facciata e la decorazione completa.
Anche questi lavori furono opera di altri “magistri comaschi” come Stefano Bianchi, Domenico Zelbi ed altri.
Proprio nel 1700 alla chiesa venne dato lo splendido tono unitario con la sostituzione di quasi tutte le opere d’arte precedenti come la soasa lignea dell’altare maggiore del Montanino.
 
La chiesa così come si presenta ora, è un portento d’arte ed è la più chiara dimostrazione dei legami che univano la committenza locale a circuiti d’arte ben più vasti dell’orizzonte valligiano.
La facciata ed i marmorei portali ci riportano al Settecento, così come il grande campanile.
Entrando all’interno dalla porta principale si presenta una maestosa scenografia.
 
La grande navata nelle sue movenze barocche è un miracolo di equilibrio e di armonia nello splendore degli affreschi e degli stucchi.
Sulla volta, divisa in due scomparti, il pennello di Paolo Corbellini, ma probabilmente anche di Domenico Quaglio e di Bartolomeo Scotti, si è profuso in notevoli affreschi raffiguranti episodi della vita di S. Zenone.
Il primo grande affresco è contornato da quattro “spicchi” con altrettanti Profeti.
Nel secondo scomparto, diviso dal primo da una larga fascia con medaglioni affrescati racchiusi in eleganti stucchi, l’altro grande affresco centrale è contornato pure da quattro “spicchi” raffiguranti i dottori della chiesa.
 
Sulla volta del presbiterio è affrescata la “gloria di S. Zenone”, opera di Domenico Voltolini con gli Evangelisti.
Le meravigliose prospettive architettoniche ad affresco degli altari laterali dovrebbero essere di Pietro Scalvini e sono uno splendido esempio di quelle “macchine scenografiche” care alla sensibilità settecentesca.
 
Le pale dell’altare maggiore e degli altri altari sono di pregevole fattura, pure settecentesche, in sostituzione di altre importanti opere documentate nel 1500 e nel 1600 ma sacrificate nel progetto complessivo di rinnovamento che ha eliminato pure importanti testimonianze artistiche precedenti.
Anche la sacrestia non è da meno per bellezza con l’affresco della volta del Corbellini e gli otto ovali alle pareti che potrebbero essere del pittore Antonio Dusi nato a Ono nel 1725.
 
Osservando questa grandiosa chiesa il pensiero corre alla situazione economica e sociale del paese nei secoli che vanno dal 1400 al 1800 quando controllava gran parte della produzione delle “ferrarezze” che uscivano dalle fucine poste sul Degnone a Forno d’ Ono.
L’attività economica portava ad aperture commerciali ma anche culturali, con la presenza di distinte e danarose famiglie che potevano avere contatti con gli artisti operanti nel Bresciano, come ancora chiaramente dimostrano dimore di pregio che sono il frutto del connubio tra consistenza economica e desiderio del bello.
 
Ora la bellissima costruzione accusa i segni del tempo.
Necessita di un accurato controllo sulla tenuta delle sue strutture ed anche di qualche ritocco, fatto con garbo e non con la nevrosi del voler riportare “tutto a nuovo”, all’apparato pittorico e agli stucchi che mantengono ancora l’originaria tonalità di caldo avorio con sfumature dorate.
 
Anche per questa chiesa vale la considerazione che gli italiani salveranno la grandezza della loro civiltà soltanto se sapranno conservare i segni con il sano orgoglio dato dalla consapevolezza di possedere il patrimonio artistico più ricco e bello d’Europa.
 
Alfredo Bonomi          
 
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