Da Hano a Capovalle (1907-2007)
Compleanno amaro per Capovalle: mentre si festeggiano i 100 anni, si deve fronteggiare una grave crisi demografica. Era il 1907 quando l’antico paese di Hano decise con delibera comunale di mutare il proprio nome in Capovalle.

Compleanno amaro per Capovalle: mentre si festeggiano i 100 anni, si deve fronteggiare una grave crisi demografica. Era il 1907 quando l’antico paese di Hano decise con delibera comunale di mutare il proprio nome in Capovalle: per il paese, posto a 1.000 metri d’altezza e diviso nelle 3 contrade di Zumiè, Viè e Vico, cominciò una nuova storia che celebra quest’anno la ricorrenza del secolo.

Ma se il «giovane» paese è in festa, è con la moria da spopolamento che deve confrontarsi: se nel XVI secolo ad Hano risultavano 511 abitanti, il censimento del 1657 ne contava solo 410, a causa della peste del 1630. Nel 1861 la popolazione era risalita a ben 751 abitanti, giunta a 1.000 negli anni ’50 del secolo scorso. Ma cosa ha spinto oggi i capovallesi, nel contarsi, a scoprirsi in 416, 10 in meno dello scorso anno, con 19 stranieri e con alcuni residenti che in realtà non abitano a Capovalle?

Facendo un conto «effettivo» (esclusi quindi sia gli stranieri che coloro che risiedono ma non vivono a Capovalle), oggi i capovallesi sono ormai scesi sotto quota 400, quando solo 60 anni fa a Capovalle erano in 1.000. Un calo, dunque, del 60%. E non si intravede la fine: «Nel 2006 - spiegano in anagrafe - ci sono stati 7 decessi e 2 sole nascite. E vista la tendenza ad un’età media piuttosto alta, il 2007 non ha cambiato tendenza. Poi, sempre nel 2006 a Capovalle sono arrivati in 14, tutti locali, mentre se ne sono andati in 19, tra i quali 4 stranieri».

Una realtà ricca di bellezze naturali, di verde, di tranquillità, di aria buona che si potrebbe imbottigliare, tutte caratteristiche che, d’estate, attirano tanti turisti. Ma anche una realtà ricca di disagi e priva di lavoro e comodità. Ed è soprattutto questo che spinge i giovani sempre più ad andarsene.

Capovalle è paese ancora vivo, con 2 trattorie, 2 bar, 2 alimentari, un bazar ed il distributore di carburante. Ma è comunque ferito: «Per lavorare - si racconta in paese - non c’è alternativa a scendere a Idro e a Vestone od in altri paesi della Valsabbia.

Qui abbiamo solo qualche muratore, qualche commerciante, albergatore o ristoratore, qualche artigiano e tanti...pendolari. Non che prima andasse proprio meglio: i capovallesi della prima metà dell’800 erano infatti costituiti da qualche possidente e, poi, solo da contadini, carbonai, gente povera». Ora queste condizioni non ci sono più, e si scende a valle per lavorare. Finché, soprattutto per i giovani, c’è la scelta di rimanerci per sempre, sul fondovalle. Un esodo lento ma continuo, che non permette di festeggiare adeguatamente un compleanno altrimenti speciale.

Massimo Pasinetti
Da Bresciaoggi
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