Buon compleanno al vecchio codice a barre
di Erregi

Compie ben sessant'anni il codice a barre, anche se negli anni molte sono state le modifiche che ha subito: dal primo brevetto ottenuto nel 1952 dal padre dell'invenzione molte cose sono oggi cambiate

 
Ci vollero tre anni solo per ottenere il brevetto: la straordinaria idea di Norman Joseph Woodland (foto 4) dovette aspettare il 1952 per venire davvero al mondo.
 
Dopo la crisi del ’29, il proibizionismo e l’economia in  recessione, però, l’invenzione ci mise davvero poco ad esplodere e rivoluzionò soprattutto l’industria alimentare.
 
Questo settore del commercio, infatti, era cresciuto molto e necessitava, per motivi di tempistica e precisione, di uno strumento più adatto alle operazioni di immagazzinamento e inventario merci. E il codice a barre cadeva a pennello.
 
Non si trattava, però, del codice a barre così come lo conosciamo noi: le linee nere erano solo quattro, mentre per la nascita di codici più simili a quelli che vediamo ed utilizziamo oggi si attenderà fino al 1974, quando, per la prima volta, nei negozi di alimentari, lo si poteva trovare sul retro delle  confezioni di gomme da masticare “Wrigley’s”.
 
Visto, inizialmente, come uno strano, inspiegabile disegno, il codice a barre, piano piano, entra in tutte le case, si estende a tutti i prodotti e viene, negli anni, accettato e compreso da tutti gli acquirenti, divenendo perfino più moderno nella versione a colori del 2007.
 
Ad oggi, poi, lo possiamo ritrovare su ogni genere di merce e non più solo sugli alimenti, ma il suo utilizzo non si ferma qui: negli ospedali, per esempio, i braccialetti identificativi se ne servono, così come lo sfruttano gli entomologi per monitorare le api.
 
Un’idea che ha cambiato il mondo, insomma: poche strisce nere all’apparenza tutte uguali, alle quali spesso non facciamo nemmeno caso ma senza le quali, ormai, non sapremmo più vivere.
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