Passeggiate
di Itu
Passeggiando un pň si rischia; di stancarsi, di incontrare qualcuno, di sentire scomode le scarpe, di vedere il paesaggio cambiato. Eppure tornando a casa tutto prende un'altra piega
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Sto cercando di capire se è solo una febbre o invece una vera travolgente terapia, scopro che il tempo più vero entra nell’umano con scarpe comode e quell’esercizio del passo, spesso in solitaria che dimentica tutti gli impegni.
A volte in gruppo su strade note, anche fuori del paese, l’importante è lasciare stare il ferro da stiro il computer ed anche il libro, immagazzinare i litigi stridori e mortificazioni, dimenticare il telefonino e fidarsi delle nostre gambe che portano all’aria tutti questi pesi.
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Pulsa il sangue nelle vene e si gonfia di respiro all’inizio affannoso di fatica, poi la pietà e la scoperta del passo che ossigena senza far male, il flusso che passa in alternanza da destra a sinistra con l’appoggio del corpo alternato, trovar tempo per saggiare l’aria che si rompe sul viso accaldato e senso al “reggersi sulle proprie gambe”.
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Sempre tornando a casa sperimento quel languore da poco che prima che si raffreddi già è attivo per preparare la cena e prestarmi a pensieri che riguardano me soltanto.
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Mi viene da pensare ad un tempo passato in cui la crisi dava smania e movimento di migrazione a zonzo per il mondo, ancora una umanitĂ che piĂą di sentirsi ancorata ha voglia di uno zaino leggero, troppa cianfrusaglia ci ha sommerso in pochi anni.
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Equilibri che si rompono, che si ricompongono, che si frantumano degli stessi pezzi, di tutte le nostre umane emozioni.
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