La particella di Dio è l'essere
di Dru

Se per verit intendiamo come stanno le cose o pi propriamente le cose di interesse l'articolo apparso qualche giorno fa sul Corriere della Sera a firma di Giovanni Reale "Ma le verit della scienza sono provvisorie".


L’opinione è del filosofo, a lato dell’argomento che si discute in questi giorni sulla particella di Dio.
Interessante perché mi dà uno spunto ulteriore nell’analisi che porto avanti in questo giornale da qualche tempo e in specifico mi dà modo di entrare nei meccanismi che dovreste ormai aver intravisto e sperimentato dalle mie parole sul concetto filosofico che le cose appaiono e non divengono.
 
Già il titolo di Giovanni Reale può essere letto in due modi, nella maniera della filosofia contemporanea dovreste ormai aver compreso che le parole “sono provvisorie” lanciano sulle scoperte scientifiche tutta l’angosciante precarietà che solo il nulla terrificante può così violentemente esprimere, se per mano della filosofia contemporanea apprendiamo che le cose divengano dal nulla per tornarvi, il senso nichilista dell’uomo moderno; d’inverso, per ciò che concerne la visione dell’apparire delle cose le parole “sono provvisorie” prendono un aspetto del tutto nuovo, alla luce di alcuni richiami della metafisica classica, prendono le forme di qualche cosa che da sempre è esistito e sempre esisterà, ma noi, come uomini in carne ed ossa, vi facciamo esperienza solo ora, appaiono a noi solo ora, magari per scomparire poi ma non per divenire nulla.
 
Per la prima realtà, quella nichilista, la sensazione è quella che si prova di fronte al parapetto dell’ultimo piano di un altissimo grattacielo, una grossa mano invisibile ci prende alla gola, l’angoscia della nullità, per ciò che concerne la seconda visione della realtà, beh, direi che è come se noi volgessimo lo sguardo e vedessimo qualcosa che non abbiamo mai visto, ma quel qualcosa, che adesso vediamo, non è assolutamente un qualche cosa che è precario, provvisorio appunto, ma qualche cosa di definitivo e necessario, come è di noi stessi.
Non per questo vi invito a fare il salto dal parapetto, poiché è senso comune che esperimentare la morte non sia esattamente un passo verso la felicità almeno per quelli che la esperimentano vedendola apparire sugli altri.
 
Ma entriamo nell’articolo di Reale, dice l’esimio filosofo “si ha l’impressione che non pochi scienziati e gran parte degli uomini comuni siano rimasti inchiodati all’idea ottocentesca e del primo Novecento, secondo cui la scienza raggiunge verità ultimative e incontrovertibili. Ma l’epistemologia ha dimostrato il contrario, ossia che ciò che la scienza dice si colloca all’interno di paradigmi, tutti quanti controvertibili con le conseguenze che questo comporta”.
 
Questo concetto di Reale si inserisce profondamente nel senso nichilista di quanto abbiamo vestito le cose.
In definitiva lui dice che in quel periodo, a partire dalla scienza sperimentale fino a Einstein e cioè a partire da Galileo che sosteneva epistemologicamente le fondamenta metafisiche di verità incontrovertibili assumendo che le scienze hanno portato alla scoperta di alcuni principi e lui in specifico gli ultimi, mentre Dio li sa tutti i principi e sta solo al tempo, per l’uomo, di scoprirne gli altri, fino al genio ebreo che si rifiuta di considerare alcuni aspetti delle nuove teorie, proprio perché gettano il caos nelle lucide e determinate esperienze scientifiche fatte dagli uomini, tutti immaginavano una Fisica meccanicistica conseguenza di una Metafisica deterministica.
 
In parole povere, il virgolettato del filosofo esprime il concetto che la scienza prima era figlia della Metafisica poiché gli scienziati cercavano verità incontrovertibili tali e quali alla Metafisica, solo con un linguaggio diverso e attraverso il “come” invece che attraverso il “perché”.
Infatti prosegue in questo modo “Molte dottrine cosmologiche sono, in realtà, forme di metafisica, trasfigurate e rivestite di simboli assai allettanti ma in realtà assai fragili” e qui vuole significare, che in realtà ancora oggi, almeno dalle impressioni che le reazioni degli scienziati di questi giorni gli hanno comunicato, alcuni scopritori credono di scoprire verità incontrovertibili non immaginando ancora lontanamente che queste sono invece controvertibili e qui lo stupore del filosofo, stupore suscitato dallo stupore degli scienziati di fronte alla nuova scoperta.
 
Ma qui sono io a stupirmi del filosofo, quando dice che “l’epistemologia ha dimostrato il contrario“ vuole forse significare che ha dimostrato qualche cosa di incontrovertibile?
Riflettete su questo punto poichè è di fondamentale importanza per il proseguo dell’indagine.
Dimostrare l’indimostrabile è una frase quantomeno assurda e contraddittoria, se non si può dimostrare nulla di incontrovertibile, anche dimostrare l’indimostrabile è controvertibile e quindi indimostrabile. Questo errore sta alla base di quale sia il senso che noi diamo alle cose se non vogliamo essere contraddittori.
 
Poi il filosofo annuncia quello che a suo parere è ciò che dovrebbe spegnere gli entusiasmi originati dalla scoperta, anche se non lo dice apertamente, di quelli che ancora sono romanticamente legati alla scienza dell’ 8/primi novecento “Non poche volte alcune affermazioni della scienza, nell’evoluzione della conoscenza, si sono capovolte nel loro contrario. Popper ha dimostrato in modo preciso che ogni teoria scientifica è tale solo se –e nella misura in cui– risulta falsificabile ossia controvertibile.”
 
E qui il filosofo mette punto al matricidio che la figlia Scienza avrebbe compiuto nei confronti della madre Metafisica e prosegue “Se non si tiene ben presente questo si trasforma la scienza in “scientismo”” un idolo fonte di principi e in ultima istanza di verità assolute. Ecco che ricompare nelle parole del filosofo la contraddizione e infatti dice testualmente “…Popper ha dimostrato in modo preciso” ciò che da principio non è dimostrabile tenendo conto che esista ciò che non esiste.
 
“L’antico problema da cui è nata la metafisica è proprio quello cui si connette la nuova scoperta: perché c’è l’essere e non il nulla. Ma questo problema non può essere affrontato da alcuna delle scienze particolari in quanto trascende i loro ambiti” esprime qui Giovanni Reale l’apparire delle cose “perché c’è l’essere…” che non è il divenire dell’essere nel nulla “…non il nulla”, unica cosa impossibile (contraddittoria) e sottintende che gli scienziati, nel loro stupore, inconsapevolmente, esprimendo tutto il loro stupore, esprimono questo nuovo senso delle cose, nuovo ma che è da sempre e è intravisto per primo da Parmenide.
 
In questo non siamo, gli scienziati e noi tutti, diversi dai bambini, quando osservano le cose e le scoprono nel loro apparire e non le creano, che dal nulla non possono venire, perché poi vi facciano ritorno, le scoprono come già da sempre essenti, unico rimedio all’angoscia.
 
Poi lui conclude con una frase che dimostra tutto il nichilismo del nostro tempo e mi dimostra che anche lui non osa fare il salto “La stessa “particella di Dio” rivela una tracotanza che alcuni scienziati hanno espresso senza mezzi termini, ossia la convinzione di essere, in qualche modo, mediante i nuovi strumenti di conoscenza, essi stessi Dio”.
Qui anche Giovanni Reale non vede questo senso ancora nella sua luce più vera e si rifugia nuovamente nel nichilismo poiché altrimenti direbbe che noi siamo “Dio” (qui da non confondersi con il Dio teologico ma con il Dio filosofico che è l’essere) e non gli apparirebbe questa degli scienziati come tracotanza ma bensì come gloria (luce) di ciò che prima era solo nascosto dalle tenebre, ma incontrovertibilmente c’era e ci sarà.
 
Dru
 
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