Nei tragici interstizi dell'italiana figura di fantozzi
di Alberto Cartella
La riflessione filosofica di questa settimana continua il discorso sulla cinematografia, partendo dal cinema come possibilità di un nuovo pensiero e analizzando la tragicità di un personaggio italiano per eccellenza, il ragionier Ugo Fantozzi
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La cinematografia (non quella mediocre) è pensiero, ma non solo. Essa è anche immagine, insomma si potrebbe dire che è immagine-pensiero. In essa quelle cose cui manca la parola trovano espressione nell’immagine e nel gesto, creando una costellazione.
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I grandi autori del cinema possono essere paragonati non soltanto ad altri artisti, quali architetti, pittori o musicisti, ma anche a dei pensatori, che pensano attraverso delle immagini al posto dei concetti.
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Il cinema riporta il movimento all'attimo; esso non cerca il “tuttoâ€, poiché c’è movimento solo se il tutto non è né può esserci: appena si esibisce il tutto, il tempo diviene immagine dell'eternità e non c'è più spazio per il movimento reale che è puro divenire.
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Si apre così la possibilità per un nuovo pensiero del quale il cinema diventa il portavoce. Questo pensiero cerca il singolare, in ogni istante qualsiasi.
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L’inquadratura, il piano e il montaggio sono i mezzi attraverso i quali il cinema costruisce il suo sistema di relazioni tra immagini. Il montaggio rappresenta il tutto del film, l’idea che ci fa dono di un’immagine della durata e del tempo reali (non quelli astratti dell’orologio). Esso è fatto da sovrapposizioni che esprimono l’idea di una congiunzione fra ciò che è stato e ciò che è, in una forma anarchica e da discontinuità che producono l'idea di un’interruzione.
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Nella letteratura e poi nella cinematografia italiane c’è un uomo che è il più sfortunato in assoluto e ogni sua azione va a finire in catastrofe. Quest’uomo risponde al nome di Fantozzi, il quale è un personaggio tragico, non comico; egli si trova su una soglia, in un interstizio fra un mondo e un altro, restituito solo dalle immagini e dai gesti, non da un discorso razionale volto a una spiegazione comprensibile.
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Fantozzi sa quale sarà il suo destino eppure corre alla settimana bianca, al mare e finirà in una maniera oscena. Inoltre, il suo nome nelle varie pellicole viene sempre storpiato e se ci pensiamo è la cosa che offende di più una persona.
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È un personaggio senza speranza e ossessionato dal potere perché ha paura. È un uomo che sa di essere inutile e che se muore o un giorno si ammala, in ufficio nella megaditta non se ne accorge nessuno. Fantozzi, essendo ossessionato dall’idea di essere del tutto inutile, cerca disperatamente il servilismo.
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Egli, però, ha liberato gli italiani dal timore di essere isolati in un certo tipo di incapacità a vivere, a essere felici. In quel tipo di sfortuna e di incapacità a essere felici secondo i dettami della cultura consumistica proveniente dall’America, lui faceva le vacanze, andava alle settimane bianche e al mare su delle spiagge infernali, faceva le code e alla fine tornava massacrato e assolutamente infelice.
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Gli italiani vivevano la stessa tragedia e avevano paura di essere anomali. Fantozzi ha detto loro di non essere dei fenomeni isolati e che tutti quelli che subiscono quel tipo di cultura sono destinati a essere infelici. All’inizio Fantozzi pensa di essere un malato di mente, uno che non si sa adattare, ma alla fine è un brav’uomo e soltanto a chi ne è privo la speranza può esser data.
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Per quanto riguarda la cinematografia si sente spesso utilizzare l'aggettivo “italiano†in termini dispregiativi, ma come abbiamo visto con Fantozzi questo utilizzo andrebbe rivisto e l’accezione “italiano†dovrebbe far riferimento a un luogo e a delle comunità che possono esprimere cose belle o cose brutte come tutte le altre comunità situate in altri luoghi.
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Bisogna dire, però, che i termini bello e brutto hanno molto di “soggettivo†anche se non tutto, perché se si afferma che una cosa è bella, lo si dice in quanto si fa riferimento a quei processi che si scatenano in ogni individuo quando incontra una cosa bella. Questo accade comunicando lo stato d’animo che scaturisce dall’incontro con questo qualcosa che si giudica bello.
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Queste considerazioni (soprattutto quelle sullo statuto ontologico del cinema) sono state rese possibili dalla lettura di alcune riflessioni di Gilles Deleuze e dall’incontro con il pensiero di Walter Benjamin.