Le coronarie d’inverno
di Franco Pasini

Le influenze che il clima esercita sulla nostra salute sono molteplici: condiziona la vita di relazione, interferisce sulle nostre attivit fisiche ed intellettive e, inoltre, favorisce oppure ostacola l’insorgenza di svariate malattie.

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Numerosi aspetti dell’ecologia umana suggeriscono che l’uomo originariamente si è adattato all’ambiente tropicale e, successivamente, attraverso varie tappe, è diventato capace a vivere in climi via via più freddi, grazie allo sviluppo dei meccanismi di termoregolazione.
Ai nostri giorni, nel giro di poche settimane il nostro organismo è capace di adeguarsi ai climi torridi, mentre il suo adattamento alle basse temperature è assai più lento e limitato.

E’ noto che la mortalità per malattie cardio-respiratorie è maggiore durante l’inverno, specialmente nel soggetto anziano, dal momento che le capacità di adattamento al freddo si riducono progressivamente con l’avanzare dell’età a causa dell’alterazione dei meccanismi di termoregolazione.

Già nel 1960 Rose dimostrò che in dicembre l’incidenza di reinfarto è doppia rispetto a giugno, e nel 1979 Anderson osservò un aumento del 16% delle morti coronariche durante le giornate di maggior rigore.
I mesi invernali nella nostra penisola sono più pericolosi per i pazienti con cardiopatia ischemica che vivono nelle zone alpine e sull’Appennino.
Durante le giornate fredde e ventose, un’elevata percentuale di questi soggetti con coronarie ammalate riferisce un aggravamento della sintomatologia anginosa ed alcuni, che negli altri periodi dell’anno sono asintomatici, lamentano angina pectoris.
Ciò avviene perché le numerose modificazioni che si realizzano nel nostro organismo durante l’esposizione alla bassa temperatura ambientale aumentano le esigenze di ossigeno del nostro cuore.

Al raffreddamento della superficie corporea l’organismo reagisce aumentando la gittata cardiaca, incrementando la produzione di calore e riducendo la sua dispersione, soprattutto, attraverso un aumento delle resistenze (vasocostrizione) vascolari periferiche a cui consegue un innalzamento della pressione arteriosa.
E’ stato dimostrato che il raffreddamento della superficie corporea determina un aumento di noradrenalina circolante nel sangue.

Dati sperimentali suggeriscono l’ipotesi che lo spasmo coronarico possa giocare un ruolo determinante nel causare l’angina pectoris da freddo, così come alcuni riflessi a partenza dal viso possono determinare vasocostrizione periferica e, attraverso il conseguente aumento del lavoro cardiaco, determinare la necessità di un maggiore consumo d’ossigeno da parte del cuore.

E’ ben dimostrato che le coronarie colpite da aterosclerosi rispondono in modo assai diverso allo stimolo”freddo”.
Cosa deve fare il soggetto con coronarie ammalate al sopraggiungere del freddo? 
Durante il periodo con le temperature più rigide, per ridurre il rischio di ripresa della sintomatologia anginosa, quando possibile, dovrebbe trascorrere un periodo in zone con clima mite e, comunque, aver sempre cura di esporsi all’esterno ben coperto da abiti pesanti, con l’accortezza di riparare molto bene anche il volto.

Il paziente con le coronarie ammalate, anche se non presenta sintomi, deve evitare sforzi fisici in ambiente freddo e situazioni con repentino variare di temperatura , come il tuffarsi in acqua fredda o passare da ambienti riscaldati verso altri con temperatura molto più bassa.
  
E’ consigliabile che tutti i pazienti con malattia aterosclerotica coronarica tengano in considerazione quanto suggerito, perché così facendo possono scongiurare la comparsa di crisi anginose, aritmie, infarto e morte improvvisa.

Dr. Gian Franco Pasini
Direttore U.O. Cardiologia
Ospedale di Gavardo
Azienda Ospedaliera Desenzano d/Garda
 
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