Col gioco e con la festa
di Itu

“Se si tratta di giocare in gioco ci siamo anche noi”.
Questa la spontanea proposta della comunitŕ islamica di Vobarno, che ha messo a disposizione di tutti i vobarnesi la sede di associazione e preghiera nella giornata di sabato 23.


“Se si tratta di giocare in gioco ci siamo anche noi”.
Questa la spontanea proposta della comunità islamica di Vobarno che ha messo a disposizione la sede di associazione e preghiera nella giornata di sabato 23 per i giochi di “tria”, per la mosca cieca, e per la festa della contrada della Rocca, prevista nella programmazione del tradizionale Palio delle Contrade vobarnesi che si svolge dall’11 giugno fino 1 luglio.

Così accadeva che nel piazzale assolato del parcheggio intere famiglie islamiche al completo “sbarcavano” dalle auto cariche di vassoi, bricchi d’argento e bicchieri arabescati di mercati magrebini e d’oriente, di fasci di profumatissima menta perché la festa è sacra a chi si vuole incontrare.
Allora l’occasione è d’oro anche per le famiglie islamiche della valle che si sono strette ad aiutarsi per accogliere nella loro “casa” al meglio gli ospiti del paese.

Una stanza è stata attrezzata per il gioco del “tria”, quello con le pedine ed il retro della dama, mentre fuori per strada (ci siamo dimenticati che i giochi migliori nascono lì?), delimitati da striscia di sicurezza bianca e rossa per ragioni di traffico, i bambini hanno giocato a mosca cieca nella variante del chiamarsi battendo tra le mani due sassi.
Nel cortile che anticipa l’ingresso alla vasta area del caseggiato vobarnese adibito a centro culturale e a moschea, le file di sedie di plastica bianche sono sempre rimaste occupate.

Lo scambio di parole non è un obbligo, soprattutto per chi arriva per ultimo a lavorare qua e non sa più che pesce è. Si rimane così con i sensi storditi dal calore che esce dalle stanze, denso di profumi d’incenso, ad ascoltare ciabatte piccole e grandi che sfregano sull’asfalto, i richiami dei bambini assolutamente fuori da tutti i capricci, lingue miste non tanto identificabili, risate sincere e poi il richiamo al rinfresco.
La grande stanza–scuola di arabo per l’occasione era stata allestita con i banchi coperti di tovaglie artigianali, con vassoi stracolmi di pani profumatissimi, dolcificati e aromatizzati, di lievissime torte, di pasticcini ancora caldi di forno, carichi di mandorle, di struggenti sfoglie arrotolate intinte nel miele.

Le donne avevano gli occhi luccicanti del piacere di poter offrire quelle meraviglie, davvero contente e serene come non si riesce a immaginarle quando per strada le incontriamo.
Gli uomini invece si sono ritagliati un banco speciale dove è stato servito il thè alla menta: solo chi lo ha assaggiato riesce a capire perché diventa bevanda che lega gli animi e tale preparazione è da maestri.
C’è stata poi l’occasione di essere invitati nel cuore del complesso: rigorosamente a piedi scalzi siamo entrati nella palestra-moschea, i tappeti per terra ad indicare lo spazio personale di preghiera e il riferimento verso La Mecca.

“Forse se facciamo conoscere il luogo dove ci incontriamo e preghiamo possiamo ancora sperare in un ponte di pace”: questo deve aver pensato Youby, l’animatore e promotore della festa. Per rendere ancora più forti le speranze di apertura è stata predisposta la premiazione di giovani leve facenti parte della comunità islamica e che si sono perfettamente integrate con riconoscimenti e coppe in gruppi sportivi soprattutto di calcio.

Ognuno si è presentato, è stato complimentato e abbracciato dagli adulti e affidato all’intelligenza della Valle con un cappellino azzurro sponsorizzato Italia. Se siamo in gioco guardiamo bene quali regole scegliere per il futuro, perché i sassi della mosca cieca ci possano guidare verso l’altro a trovare soluzioni nuove.
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