La valigia dei sogni
di Aldo Vaglia

L'argomento di cui tratta oggi il nostro blogger Aldo è il recupero Ave di Vestone, sospeso a metà strada fra scelte ponderate e vicissitudini ineluttabili.

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La discussione è di quelle che si sviluppano al bar in attesa che venga l’ora di pranzo tra un’oliva e un prosecco, non ha la pretesa di dare soluzioni è solo la fotografia di alcune riflessioni che prendendo spunto dall’articolo pubblicato su vallesabbianews sul borgo Ave veleggiano su altri temi che nel paese hanno lasciato il segno.
È più cronaca che critica, non vuol attaccare alcuna forza politica che ha governato negli ultimi dieci anni e nemmeno le scelte compiute da privati che hanno tutto il diritto di ricavare profitto dal loro lavoro.
 
È in fondo un sogno mancato, è ciò che poteva essere e non è stato è il declino di un paese con una storia millenaria.
Non è la ricerca delle responsabilità che per l’eterogeneità dei partecipanti ognuno può addossare alla parte avversa, è la constatazione che alcune scelte strategiche non danneggiano solo chi le compie, ma vanno a discapito della collettività.
Non è nemmeno una critica al progetto che nell’ottica del maggior utilizzo dell’area ha scelto la strada della minor demolizione possibile.
Sono osservazioni che ognuno ha il diritto di esprimere senza la pretesa di essere accolte.
 
L’inesatto termine borgo, se può avere una presa propagandistica, svia la discussione da uno dei temi: quel lungo serpentone, quel condominio orizzontale poteva essere accorciato nella sua parte iniziale in modo da creare uno spazio aperto che, oltre a servire da parcheggio, dava profondità all’intero fabbricato.
Il procedere dei lavoriche privilegia la parte anteriore rispetto al resto va nella direzione opposta.
Se per un qualsiasi motivo non fosse possibile terminare le opere rimarrebbe a vista quel catafalco in rovina inutile per ogni utilizzo e costoso per la demolizione.
 
La costruzione nasce sull’abbandono da parte della discendenza “Bonomi†della più importante fabbrica simbolo per un secolo dell’imprenditoria Vestonese e Valligiana.
Il suo trasferimento nella periferia bresciana non ha contribuito a migliorarne né nome né prestigio, ha solo privato il paese della sua miglior realtà tecnologica.
La vocazione chimico-meccanica di Vestone che si è distaccata dalle sue origini metallurgiche e siderurgiche ha visto l’AVE come scuola di formazione per le maestranze che col tempo hanno creato proprie industrie che contribuiscono ancora oggi a mantenere ricchezza e mano d’opera sul territorio.
 
L’abbandono dei poli industriali, se risolve alcuni problemi quali trasporti e viabilità, non usufruisce più della sapienza che generalmente non viene retribuita e ciò che sembra vantaggioso all’inizio si rivela con il tempo un handicap per molte imprese.
Ne è un esempio Lumezzane che non solo i cinesi hanno contribuito a mandare in crisi, ma la stessa delocalizzazione è stata causa di perdita di qualità, unica risorsa a disposizione per battere la concorrenza.
Anche se di altra natura non guadagnerà molto nemmeno la Banca locale dal trasferimento del centro direzionale a Brescia.
Ciò che è eccellenza nei luoghi d’origine può diventare mediocrità in condizioni diverse.
 
Ultima considerazione, trasformare residenziale in commerciale non cambierà di molto la situazione.
Il mercato immobiliare è fermo anche nel settore terziario, molti negozi sono oggi sfitti e i commercianti soffrono più di altre categorie.
L’unica realtà che aveva mezzi e forse interesse a un’operazione così costosa poteva essere la “cooperativa alimentare†che ha preferito altre scelte e non è più tra i possibili acquirenti.
Non è facile suggerire alla politica interventi che possano prevenire degradi, si può solo fare appello alla massima vigilanza e alla volontà di operare per uno sviluppo di qualità del paese.
 
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