Il dibattito sul federalismo può riprendere
di Aldo Vaglia

L’America e la Svizzera, punti di riferimento per l’elaborazione della proposta costituente di Miglio, hanno maggiori strumenti per uscire dalle crisi.

 
Un vero federalismo ci potrebbe salvare dal fallimento. Il sistema centralizzato o si salva per intero o crolla.
L’America ha la possibilità di lasciare al proprio destino quelle parti del paese che non ce la fanno (“Il governo nord Americano vede una via d’uscita alla crisi abbandonando gli stati federali più indebitati a partire dallo stato della California con i suoi 347 miliardi di debito”).
Sarà pure un discorso cinico e chirurgico ma, fino a che l’economia si baserà sulla competizione e la concorrenza, il potersi liberare dei pesi impossibili da sostenere è un privilegio che non tutti hanno.
 
Quando la Lega era ai suoi massimi splendori e tutto risultava facile, era la parola stessa federalismo che  aveva l’effetto “dell’abracadabra”, non si poteva mettere in discussione né la forma né la sostanza.
Non si poteva far altro che acriticamente accodarsi o appropriarsene come maldestramente tentò di fare il governo di centro sinistra con la riforma del titolo quinto della Costituzione.
 
Riforma del titolo quinto, devolution e federalismo fiscale, sono dei palliativi.
Il problema non riguarda una migliore distribuzione delle risorse e il controllo su di esse, ma la vocazione economica delle varie zone del paese che deriva sia dalla storia che dall’ambiente.
Gianfranco Miglio aveva capito che, oltre al Mezzogiorno, erano le Regioni (“centri di potere in contrapposizione al governo e al parlamento carrozzoni della partitocrazia assistenziali e clientelari grandi catafalchi dell’inefficienza e dello spreco”) il vero e proprio fallimento.
 
È per questo, che lasciando le cinque a statuto speciale che per forti ragioni storiche avevano un significato, le altre potevano benissimo essere aggregate in tre Macroregioni, il Nord, l’Etruria, il Sud.
Ironia della sorte un suo progetto, dove vi sarebbe un accorpamento dei comuni più piccoli una riduzione delle province e delle regioni, viene ripreso proprio da Formigoni.
Nel dialogo Cacciari - Galan e Chiamparino - Calderoli, si critica proprio l’idea che Formigoni ha di mantenere l’80% dell’iva e il 15% dell’irpef dove si è prodotta, la questione del federalismo non è una gara a chi si accaparra le maggiori risorse, ma riguarda l’intero Paese.
 
Se nessuna forza politica, ma principalmente la sinistra non ha il coraggio di far pagare il debito pubblico a chi ne ha avuto vantaggi e il solo parlare di “patrimoniale” la spaventa, non ci sono molte alternative al fallimento.
I ceti deboli e ormai anche una parte della classe media non hanno più la forza per sostenere, oltre al debito, cattive gestioni e sperperi di ogni tipo.
La possibilità di dividere le sorti della parte produttiva del “Paese” dalla parte assistita non è detto che non faccia bene anche al “Sud”.
 
Una “macroregione” di 18 milioni di abitanti sganciata dall’Europa e non più marginale, può anche salvarsi.
A volte il  bisogno  spinge a diventare virtuosi; cultura intelligenza e creatività non mancano agli Italiani. 
Cambiando le coordinate, da fanalino di coda di un’industria che vede nell’Europa Centrale il modello da perseguire può diventare “polo di attrazione” del Mediterraneo e risolvere contemporaneamente i suoi problemi e quelli della Nazione intera.
 
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