Medaglia d'Onore per Angelo Nicola Cocca
di red.

Fra i riconoscimenti consegnati ieri a Brescia dal Prefetto agli ex deportati e ex internati nei campi di lavoro nazisti, una anche per un alpino di Villanuova sul Clisi.



Il Prefetto di Brescia Narcisa Brassesco Pace ha consegnato ieri mattina delle Medaglie d’Onore attribuite dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri ai deportati o internati nei campi nazisti della nostra provincia, destinati al lavoro coatto per l’economia di guerra nel corso dell’ultimo conflitto mondiale. La cerimonia sia è svolta nell’auditorium San Barnaba ed ha coinvolto 206 bresciani.
97 delle 146 medaglie consegnate sono state “alla memoria”, così come una parte delle 49 destinate a chi è tuttora in vita è stata affidata ad un parente, poiché l’età o lo stato di salute hanno impedito ai decorati di essere presenti.

Tra i presenti c'era anche Angelo Nicola Cocca, classe 1923, alpino della 55esima compagnia del btg. “Vestone”, accompagnato nell’occasione dal capogruppo degli alpini di Villanuova sul Clisi Gianni Franceschini, suo figlio Diego e Paolo Cabra.

Angelo Nicola Cocca rimase prigioniero dall’8 settembre del ’43 al marzo del ’45, quando con altri due prigionieri piemontesi decide di tentare la fuga dal campo presso la cittadina di Mannheim. Restarono nascosti nei boschi per una decina di giorni, ma poi riuscirono a rientrare a casa. La sua storia di prigioniero si svolse in vari campi di internamento, da Innsbruck alla Polonia, dall'Alsazia-Lorena alla Prussia Orientale. Lavoro coatto, malnutrizione, condizioni di vita disumane e violenze, fisiche e psicologiche, per annientare la persona che ormai era considerata solo carne da lavoro.

Sono fatti che ti segnano per sempre: «Durante un trasferimento – racconta Cocca – passiamo vicino a degli alberi di mele, ce ne sono tante appese e tante per terra; do una rapida occhiata, esco dalla fila di corsa e cerco di prenderne quante più ne possono tenere le mie mani. Uno sparo mi gela il sangue: “Adesso ci siamo, tocca a me” penso, mentre alzo le mani al cielo sperando. Mi giro lentamente. Ai miei piedi giace uno del ’13, aveva tre figli e una moglie, l’ufficiale tedesco che controllava la colonna gli ha sparato a bruciapelo nella schiena, lo ha ucciso per una mela». Umiliazioni profuse per scherno e diletto dei carcerieri: «Una volta – rammenta ancora – mi trovarono due patate nascoste: per punizione mi fecero girare intorno al campo, a corse, completamente nudo. E c’era la neve».

Ci sarebbero ancora mille altre vicende da raccontare, mille volti da ricordare, ognuno diverso dagli altri, ma tutti uniti dallo stesso tragico destino. A guerra finita rientrò a Villanuova, nella sua casa di Prandaglio dove vive tuttora circondato da figli, nipoti e pronipoti. A tutti Nicola raccomanda sempre di non dimenticare ciò che è stato perché non avvenga più. Mai più!

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