Voglia di futuro
di Ubaldo Vallini

Versatili e determinati, con una gran voglia di futuro per sé e per i propri figli. Ecco gli immigrati di “lungo corso” che sabato sera si sono raccontati a Gavardo.

L’occasione è stata cercata dal Comitato Sopra la Panca che nella sala delle riunioni della biblitoeca di via Quarena ha proposto un incontro di quelli che dovrebbero esserci più spesso, se l’obiettivo di tutti fosse quello di  togliere di mezzo quel velo di diffidenza che troppo spesso impedisce all’incontro fra culture diverse di diventare costruttivo.
A coordinare gli interventi lo storico e giornalista Marcello Zane che con un breve intervento e qualche domanda ha accompagnato la voglia di tre immigrati di comunciare la propria esperienza di vita.
 
Storie di immigrazione che nel loro svolgersi, e di questo se ne sono accorti presto tutti i presenti, ricordano molto da vicino quelle di emigrazione sentite mille altre volte, quando la scelta di affrontare l’ignoto l’avevano fatta i parenti prossimi o lontani che tutti noi abbiamo avuto.
Difficile comprimere tutto in due ore abbondanti di dibattito, figuriamoci in poche righe.
 
Aziz è arrivato nel 1990 dal Senegal, in tasca la voglia di andare negli Usa e l’unica cosa che gli era stata invece concessa: un visto di una settimana per il nostro Paese.
Sei anni in clandestinità, prima come “vu cumprà” poi nel lavoro nero. Il primo contratto di lavoro vero come conciatore di pelli, poi saldatore, ora macellaio, domani chissà…
Di lui molto hanno raccontato le parole, ma soprattutto la vivacitĂ  dello sguardo.
 
Fiero delle sue origini: “il Senegal è uno stato aperto, tollerante, così sono stato formato e così sono arrivato in Italia”.
Certo dei suoi desideri e tranquillo nelle scelte: “mi è subito piaciuta la lingua, sono cittadino italiano dall’anno scorso, per me e per i miei figli il futuro è qui”.
Consapevole dei suoi diritti e di quel che passa sopra la pelle degli immigrati: “siamo un business, con leggi fatte apposta per fare cassa a cominciare da quello che ci fanno spendere ogni volta per le marche da bollo, ho fatto ogni genere di lavoro e ho dovuto sopportare di tutto prima di diventare un cittadino come tutti gli altri, ora nei miei confronti esigo correttezza”.
 
Ali è il 5° di 11 fratelli ed era al secondo anno di Giurisprudenza a Casablanca quando ha deciso di andare a studiare in Francia.
Gli sembrava però di essere ancora a casa: la stessa lingua, le stesse facce.
Così ha deciso di raggiungere un fratello che si era stabilito a Foggia dove ha trovato degli amici italiani che gli hanno fatto apprezzare l’Italia ed aiutato negli studi. A Vieste frequenta l’Alberghiero.
Era il 1988.
Di quel primo periodo ricorda che non esistevano ancora i cellulari e comunciare con casa era difficile, fra i primi acquisti un vocabolario per imparare la lingua.
 
L’amore vero per il nostro Paese è scattato quando gli è capitato di vedere il Garda: “questo è il posto in cui voglio vivere”. Lavora in campeggio, poi come barista, mette su famiglia.
La sua voglia di confronto e di novità lo portano nel 2.000 ad essere fra i fondatori di una prima associazione culturale e prende così il via la sua partecipazione al vasto mondo del volontariato: ambulanze, protezione civile… fra gli immigrati è un’istituzione e non disdegna mai nessun tipo di confronto con coloro che hanno qualche cosa da insegnargli.
“Mi piace partecipare in modo attivo – dice -. Del resto se voglio che i mieri figli possano avere un futuro la cosa migliore che posso fare per loro è dargli un buon esempio”.
 
La terra natale di Nadeem Ussain è il Pakistan e lui l’ha lasciata quando aveva 17 anni per andare in Turchia.
Dopo alcuni mesi trascorsi ad Istambul si è fatto però spedire dai suoi i soldi necessari per raggiungere l’Italia.
E’ l’unico dei tre ad essere arrivato via mare da clandestino, 15 anni fa. Undici giorni su un cargo, 127 persone stipate in 3 stanze con niente cibo e poca acqua, fino a Lecce.
Raggiunge Milano con un gruppo di amici, raccoglie un bel po’ di pomodori al Sud poi trova lavoro a Monticelli Brusati e poi ancora in un ristorante a Rovato.
Come molti altri nelle sue condizioni ha conosciuto l’umiliazione di dover pagare per avere un contratto di lavoro che gli permettesse di ottenere un permesso di soggiorno.
 
Poi il lavoro regolare come manovale in una ditta di Cunettone, la scuola di specializzazione edile, il lavoro autonomo insieme ai fratelli, l’impegno nell’associazionismo culturale, sociale e sindacale.
La prima cosa che sempre fa Nadeem quando incrocia lo sguardo di qualcuno è sorridere. Perché nell’incontro con l’altro lui cerca complicità e propone buonumore.
Lo divertono anche i paradossi: “Sono un imprenditore ormai, ma mi capita che mi guardino come se fossi appena sceso dalla barca” e ride gorgogliando di gusto.
 
La sala è piena e le domande fioccano numerose.
Ce ne sarebbe per ricominciare da capo a guardare la voglia di chiedere e di raccontarsi da una e dall’altra parte.
Però c’è il tè caldo marocchino alla menta che aspetta.
C’è ancora tempo per crescere, anche se non basta mai.
 
 
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