Guai giudiziari per Camillo Piazza
L'abbiamo conosciuto come strenuo difensore della naturalitŕ del lago d'Idro e ora non ci par vero: ottanta deposizioni rese agli investigatori della Guardia di finanza accusano Camillo Piazza di truffa aggravata allo Stato e abuso d’ufficio.

«Con la minaccia di interrompere il rapporto di lavoro, mi hanno obbligata a iscrivermi al partito dei Verdi. Io non avevo intenzione di iscrivermi a questo partito, e infatti sulla tessera ho apposto una firma illeggibile. Perché non ritenevo giusto che apparisse il mio nome su una cosa da me non liberamente scelta». F.B., dipendente dell’associazione ambientalista «Amici della Terra», mette a verbale.
Gli investigatori ascoltano la testimonianza della donna. Minaccia di chi? «Camillo Piazza».

Una delle molte deposizioni. Ottanta, per la precisione. La Procura di Milano ha messo sotto inchiesta Piazza (ex presidente lombardo della Onlus, deputato eletto in Lombardia nel 2006 nelle liste dei Verdi e ora vicepresidente della «Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite a esso connesse», e segretario della «Commissione ambiente» della Camera) per truffa aggravata ai danni dello Stato e abuso d’ufficio, in un’indagine condotta dal Gruppo tutela spese pubbliche della Guardia di finanza e iniziata a fine 2005.

Secondo l’accusa, l’associazione affiliata alla «Federazione internazionale Friends of the Earth» (organismo non governativo dell’Onu) avrebbe ottenuto finanziamenti dalla Regione Lombardia attraverso il Fondo sociale europeo per 25 corsi di formazione i cui costi venivano «gonfiati» e per i quali mancava il numero minimo di iscritti grazie ai quali ricevere le sovvenzioni. Quasi 1 milione di euro di «ingiusto profitto».
E la Onlus, in base alla legge 231 entrata in vigore nel 2001, non avrebbe predisposto «modelli organizzativi idonei a prevenire» gli illeciti. Questo lo «stato dell’arte». «Sono complete falsità», è stata la replica di Piazza. Ma tra le ottanta deposizioni rese dagli ex collaboratori del deputato (a cui nei giorni scorsi è stato notificato l’avviso di chiusura indagini), alcune potrebbero aggravarne la posizione.

I pubblici ministeri Sandro Raimondi e Letizia Mannella, infatti, non hanno incluso queste testimonianze nel fascicolo appena depositato, ma le stesse potrebbero rientrare in un secondo procedimento. Gli inquirenti starebbero valutando l’ipotesi di formulare una nuova ipotesi di reato a carico di Piazza, ben più grave delle precedenti: estorsione.
Un quadro, quello che emerge dalle testimonianze dei dipendenti della Onlus, che getta un’ombra sui metodi del deputato dei Verdi. Sia come «manager», che come aspirante parlamentare.
A parlare, un’altra dipendente di «Amici della Terra». Racconta agli investigatori che «appena arrivata in associazione, nel 2002, ho sottoscritto la tessera dei Verdi. Nel 2003, in una riunione, Piazza ci disse che dovevamo obbligatoriamente sottoscrivere la tessera, perché se non l’avessimo fatto, lo stesso Piazza non avrebbe avuto peso nel partito, e quindi l’associazione non avrebbe più avuto corsi di formazione».

Dunque, più tessere per le ambizioni politiche di Piazza - che nella Onlus avrebbe così trovato un bacino di consenso grazie al quale aumentare il proprio peso all’interno del partito -, e più finanziamenti dalla Regione per l’associazione. A cascata, denaro che arriva anche ai collaboratori. Stipendi che altrimenti la «Amici della Terra» non avrebbe potuto pagare.
E, sempre sulla base delle testimonianze rese dai dipendenti della Onlus, l’ex presidente avrebbe avuto metodi altamente «persuasivi». Aut-aut, niente di meno.
«Piazza - racconta una delle segretarie - ci imponeva di trovare le persone mancanti (per i corsi, ndr), altrimenti saremmo stati licenziati. Se un collaboratore di rifiutava di fornire nominativi, era soggetto a mobbing».
O ancora, «le disposizioni di Piazza non potevano essere discusse. Direttamente o indirettamente ci faceva sapere che non accettare il suo metodo voleva dire essere estromessi dall’associazione». «Nel corso delle riunioni, Piazza ribadiva che chi non accettava poteva andare via». In sintesi, spiega R.D, «era una forma di costrizione anche esplicita. “O fai così”, ci diceva, “o vai a casa”».

di Enrico Lagattolla da “Il Giornale”- giovedì 10 maggio 2007
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