Nuova vita per la Fucina di Pamparane
Nei giorni scorsi, con l’apertura al pubblico della fucina «Pamparane» trasformata in museo Odolo ha ridato vita a un pezzo della propria storia.

Nei giorni scorsi, con l’apertura al pubblico della antica fucina «Pamparane» trasformata in museo Odolo ha ridato vita a un pezzo della propria storia. Questo, infatti, è un paese con l’«anima di ferro», le cui radici affondano nel faticoso lavoro al maglio.

Dei ben 13 magli attivi all’inizio del ’900, 11 avevano smesso di battere il metallo già dagli anni Cinquanta, e nella seconda metà del secolo scorso, solo la Pamparane (attiva fino agli anni ’70), e la «Butighe» (l’ultima a chiudere nell’ottobre del 2003) erano ancora in funzione. Mentre l’antica produzione di zappe, vanghe, badili e tenaglie era stata ormai sostituita dal tondino.

Oggi, dicevamo, la Pamparane è un imperdibile esempio di archeologia industriale, aperto alle visite dopo la ricostruzione dell’originario canale di deflusso delle acque e dopo la deviazione delle acque nere che prima confluivano qui. Sono stati poi restaurati e rimessi in funzione i magli e le attrezzature, e soprattutto è stata ricostruita la «tromba idroeolica»: un antico e geniale meccanismo di pompaggio dell’aria per la forgiatura del metallo.

Il tutto grazie al gruppo di lavoro creato appositamente, e costituito da ex lavoratori di fucina guidati dall’ultimo «maester» di Odolo, Renato Zola, che fino al 2003 ha lavorato al maglio di Butighe.

L’operazione di restauro si è poi conclusa con la sistemazione di passerelle interne per i visitatori e con finiture e allestimenti. Il tutto ha richiesto un investimento di circa 450 mila euro, usati anche per ripulire il sito dal fango e dal degrado dovuti a 25 anni di abbandono e per mettere in sicurezza lo stabile.

La visita regala veramente una esperienza suggestiva, e avviene grazie a un percorso sopraelevato dal quale è possibile osservare i magli «piccolo» e «grande» (uno è statico, l’altro funziona perfettamente), la tromba idroeolica, il «bollitore» in cui si riscaldava il metallo da fondere, la mola e a altri attrezzi.

Rivive così, inserita nella «Via dei metalli in Vallesabbia», che propone tappe anche a Vobarno, Casto, Lavenone e Livemmo di Pertica Alta, una tradizione fondamentale fatta di lavoro, abilità artigiana e grandi fatiche.

Per dare vita a una visita guidata per gruppi basta telefonare in municipio, allo 0365-826321, interno 3, o in biblioteca, allo 0365-826376.

Massimo Pasinetti
Da Bresciaoggi
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