I Glisenti e la Serenissima
di Giancarlo Marchesi

Il padre Giovanni Antonio ed il figlio Fabio Glisenti furono medici valsabbini nella Venezia del '500. Il più giovane curò anche il pittore Tintoretto.

 
La dinastia Glisenti ha radici molto lontane.
Presente in Valle Sabbia fin dal Quattrocento, ha tradizionalmente legato il suo nome alla lavorazione del ferro.
Tuttavia questo esteso e articolato gruppo familiare ha annoverato nelle sue file, non solo uomini d’impresa e capitani d’industria, ma anche personalità impegnate in svariati campi del sapere: dalle scienze alla medicina, dalle lettere alle arti.
Tra gli esponenti che si dedicarono alle libere professioni spiccano Giovanni Antonio e suo figlio Fabio, entrambi medici, che tra la metà del Cinquecento e il primo Seicento esercitarono la  professione a Venezia, con notevole profitto.
 
Alla figura del medico Giovanni Antonio aggiunge un nuovo tassello l’agile e documentata scheda d’archivio dello storico Primo Griguolo, pubblicata sull’ultimo numero della rivista «Quaderni per la storia dell’Università di Padova», edita dall’editrice Antenore di Roma.
Lo studioso rodigino si è avvicinato a Giovanni Antonio Glisenti grazie al rinvenimento del diploma originale di laurea in arti e medicina, conseguito dal giovane valsabbino il 24 gennaio 1540, presso lo Studio patavino, alla presenza del conte Antonio Martinengo, Lodovico Barbisone, entrambi scolari giuristi, e degli studenti di arti Paolo Ronco e Paolo Lonato, tutti amici del Glisenti.
 
Il ritrovamento del prezioso documento accademico nei fondi archivistici dell’Accademia dei Concordi di Rovigo, da parte dello stesso Griguolo, ha spinto lo storico a gettare una luce sulla vicenda umana e professionale di Giovanni Antonio.
Nato nel 1512 a Vestone, dopo la laurea, svolse la sua professione presso la corte dei conti Sigismondo e Sebastiano Paride di Lodrone, per poi trasferirsi a Venezia.
Per il suo spirito filantropico e la sua profonda umanità seppe conquistarsi la meritata fama di «medico dei poveri».
Dopo la sua morte, avvenuta nel 1576, i figli Fabio e Cornelio vollero ricordarlo con una epigrafe che collocarono nella chiesa di S. Lorenzo in Promo di Vestone.
 
Nella scheda Griguolo rileva che la figura del medico Glisenti è stata sempre associata e confusa con quella di un suo omonimo, quasi certamente suo parente, Antonio Glisenti, perito idraulico e rinomato cartografo, collaboratore di Giovanni Donà, provveditore sopra i Beni inculti della città lagunare, e prezioso assistente dei provveditori alla sanità di Venezia, Bernardo, Tron e da Mosto.
È a quest’ultimo, soprannominato il Magro, autore di importanti progetti di bonifica del delta del Po e accurati piani d’irrigazione del territorio veronese, che devono attribuirsi – secondo Griguolo – opere quali il «Trattato del reggimento del vivere» e il «Summario», riguardanti entrambe le cause della peste che nel 1576 aveva colpito Venezia e la terraferma, che la pubblicistica bresciana, già dai primi dell’Ottocento, ha invece attribuito al medico.
 
Il nodo dell’attribuzione di queste opere, pubblicate entrambe nel 1576, è ora stato sciolto grazie al rinvenimento della pergamena di laurea del medico - che non si chiamava semplicemente Antonio, ma Giovanni Antonio - e ad una puntale rilettura delle lettere dedicatorie che accompagnano i due saggi che portano all’Antonio «inzignero».
Superato ora questo problema di omonimia, si potrà indagare meglio le biografie di questi due illustri bresciani che, in campi diversi, furono apprezzati professionisti nella Venezia di fine Cinquecento.
 
Giancarlo Marchesi
 
 
- la fotografia ritrae la pergamena di laurea conservata presso la Biblioteca Concordiana dell'Accademia dei Concordi di Rovigo.
 
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