Serle, lo spiedo si fa De.Co.
di val.

Un prodotto un territorio. Per Serle č lo spiedo, per il quale č partito l'iter di riconoscimento De.Co.

 
E’ partito ieri sera, con l’ufficialità di una delibera di Consiglio, l’iter burocratico che porterà il paese di Serle ad ottenere il Marchio Collettivo Geografico, definito come Denominazione Comunale (De.Co.).
Obiettivo ultimo la valorizzazione dello spiedo di Serle, che per essere definito tale dovrà essere cucinato secondo le indicazioni contenute in un disciplinare particolareggiato, frutto degli studi in materia condotti dall’esperto gastronomo Riccardo Lagorio.
 
E si va avanti a passo spedito: sempre iersera e subito dopo il Consiglio comunale, infatti, si è riunita la Giunta che deliberando nel merito prima ha istituito presso l’Ufficio del Commercio del Comune un apposito Registro (Registro De.Co.), che permetterà di tenere sotto costante osservazione la produzione del tradizionale piatto, poi ha fissato nero su bianco in dodici perentori articoli come lo spedo di Serle dev’essere preparato, cucinato e servito.
 
“Il marchio verrà ora depositato presso la Camera di Commercio - ci ha detto il sindaco Gianluigi Zanola che non vuol perder tempo -. Ancora un paio di mesi e saremo in grado di consegnare ufficialmente ai ristoratori serlesi le targhe da esporre bene in vista nei loro locali”.
La cerimonia di consegna avverrĂ  in occasione di una degustazione che avverrĂ  alla Casa dei Serlesi.
 
Per evitare disaccordi di sorta, lo spedo verrà cucinato dai tre “ambasciatori dello spedo di Serle”.
Si tratta di Nicola Dasola, Giancarlo Franzoni e Rinaldo Sorsoli, scelti fra i cultori più affermati. Impensabile farne senza, di uno o di quell’altro, quando si tratta di infilzare prese sui tamburi per le feste in piazza o nelle mille occasioni socializzanti, ogni qualvolta si cerca la vicinanza ed il calore umano a gambe infilate sotto al desco.
 
Che lo spiedo preparato senza patate e con gli uccelletti sull’Altopiano di Cariadeghe, e anche poco più sotto, fosse uno dei migliori della provincia era già opinione comune.
D’ora in poi si saprà per filo e per segno anche come viene cucinato.
 
La denominazione comunale, siglata De.Co. è un marchio di qualità che nasce da un’idea lanciata dal gastronomo Luigi Veronelli alla fine del secolo scorso.
La prima delibera comunale in tal senso arriva nel 2002, nel 2005 l’allora ministro Gianni Alemanno auspica che questo possa essere uno strumento sempre più seguito per censire e valorizzare le produzioni agricole locali.
Attualmente, compreso Serle, sono una dozzina i Comuni bresciani che hanno adottato un disciplinare a tutela di un prodotto culinario.
 
Il disciplinare
Per lo spiedo De.Co. di Serle si utilizzano uccelletti, lonza o coppa suina, costolette, pollo e/o anatra, coniglio, salvia, burro, tutto d’origine nazionale, nulla congelato.
Ciascun pezzo viene definito “presa” del peso approssimativo di 70/80 grammi.
Sale d’origine non marina.
 
Le prese devono essere inserite sugli “schidioni” facendo in modo che le pezzature di carne più compatta vengano alternate a quelle di carne più grassa o morbida, inframmezzate di una foglia di salvia.
Il calore necessario alla cottura solo dalla combustione di materiale vegetale, sconsigliato il castagno.
Preparando le braci non direttamente nel tamburo, se viene utilizzato.
Si al carbone vegetale, evitando che rilasci gas direttamente sulle carni.
 
Il grasso che si scioglie nei primi 150 minuti di cottura va raccolto ed eliminato.
Così anche il primo “passaggio” di burro che viene calato dall’alto, dopo che ha unto le carni e che si è depositato nella leccarda.
Poi le carni vengono salate e ripetutamente irrorate con il burro, secondo esperienza personale o tradizione familiare.
 
La cottura deve durare almeno 6 ore dando impeto alle braci negli ultimi 15 minuti per rendere croccante la suferficie delle carni.
Le carni devono essere servite calde. Si sconsiglia di riscaldare le carni, preferire piuttosto il consumo a temperatura ambiente una volta raffreddate.
Le patate, o grosse fette di pane, si utilizzano solo all’estremità degli schidoni per evitare il contatto della carne con il metallo.
 
 
 
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