La salvezza del lago come atto mancato
di Davide Bondoni

Ci scrive Davide Bondoni, rispondendo ad alcune osservazioni dei lettori indirizzate ad un suo precedente contributo. Si parla di lago, ma anche di rapporto fra uomo e ambiente. Interessante.

 
Gentile direttore,
le allego un breve articoletto in risposta ad alcune osservazioni all'indirizzo di un mio precedente contributo.
Grazie e distinti saluti,
Davide Bondoni 


La salvezza del lago come atto mancato

Vorrei qui ribadire alcune idee espresse in precedenza, notando la loro estraneità alla sfera politica.
Se ho esemplificato un discorso che si riallacciava al mio con la figura del leghista, non l'ho fatto per affermare la mia fedeltà ad un partito piuttosto che ad un altro.
Semplicemente, la figura del leghista al centro commerciale enucleava un'apparente contraddizione.
Apparente, in quanto la scelta di coltivare le proprie tradizioni in QUESTO periodo storico è l'altra faccia dell'acquistare una Barbie in un megastore di provincia.

Che dopo, il giornalista nell'articolo a cui si faceva riferimento, volesse fare dell'ironia sulla Lega, questo non conta.
Fa parte di quella politica trattata come pettegolezzo che infervora da qualche tempo.

A prescindere dal fatto che oggi si nota la mancanza di un'ideologia partitica (intesa come elemento sovra-strutturale) decaduta a demagogia per la maggior parte, io insisto sulla totalità di cui l'uomo è parte e non elemento.
L'individuo non si può staccare dall'ambiente come si estrae una pallina da un sacchetto; l'individuo è essenzialmente ciò che lo circonda, si incarna in esso.
Questo, secondo me, ha anche delle ricadute pratiche, perché significa ribadire il ruolo corale della società intesa qualitativamente, non come sommatoria.

L'uomo decise di stendere un contratto e di riunciare alla sua sovranità in cambio della sicurezza garantita dal vivere assieme.
Inizialmente, perché solo assieme si poteva far fronte al rigore della natura.
Oggi, in cui il concetto di natura è svanito e anche quello di realtà, sbiadita nel mondo virtuale, l'individuo non sente più la necessità interiore di ribadire questo suo innato legame con l'altro e con il diverso.
Tuttavia, io credo che in certe occasioni, vada messa da parte la propria fede politica per fare qualcosa insieme. Non io e te, ma noi (quindi, io e te).

Ho di fronte a me l'esperienza di un paese che è diviso in tanti rivoli quanti sono i suoi abitanti e i cui tentativi di aggregazione spesso sono soggetti ad un rapido decadimento (nel senso quantistico del termine).
Dall'altra parte, ho sempre trovato nel popolo tedesco quella coralità che a noi è spesso mancata. Il corale, autentica espressione (Aus-druck; si noti il prefisso 'aus') del sentimento germanico esprime proprio questo lavorìo compiuto insieme.
Non c'è una melodia ed un accompagnamento, come nell'opera lirica italiana di primo ottocento, ma una struttura contrappuntistica.
Ancora oggi si insegnano i corali bachiani per la loro costruzione armonica. Del resto, Bach si serviva delle più disparate melodie.

Il rendersi conto che si è membri della società, come un braccio lo è del corpo è inevitabile per non cadere nella banalità del quotidiano.
Ecco, allora, che suona per certi versi paradossale lo slogan 'salvate il lago'.
Un logico direbbe che c'è un errore categoriale; un lago non è un qualcosa che si salva come una persona. Ma forse, il trucco sta nel leggere in controluce un atto mancato. Un sintomo althusseriano. Siamo noi il lago da salvare.

Ma per farlo, bisogna fare il giro, non scegliere la strada più breve. Riflettere sui nostri fondamenti.

Nei secoli precedenti i nostri vecchi, forse non erano laureati, ma evitavano di compiere certe sciocchezze che oggi compiono professionisti del settore.
Basta vedere le montagne, dove le strade e gli edifici disegnavano un paesaggio in cui l'uomo si rispecchiava.
Una strada, se fatta bene, può essere anche decorativa. Non è che il passato, essendo trasfigurato, sia migliore. Non tutto era nobile e bello neppure allora. Ma mancava quella frattura fra io e non-io, fra soggetto ed oggetto che ha ucciso l'occidente.
L'uomo si rispecchiava nel paesaggio perchè al momento ingenuo della contrapposizione seguiva l'identità.
L'uomo era la natura che lo circondava, nel senso che a = b.
Oggi, questo riconoscimento manca e si afferma a ragione che 'l'inferno è l'altro' (Sartre). Questo perché manca la fase finale: l'identificazione.

E' questo il succo del disicantamento del mondo max-weberiano che ha fatto da preludio ad un secolo di barbarie e che distingue la nostra società da quella (almeno) pre-illuminista.

Non è questa la sede adatta per discutere di questi temi, lo è invece se vediamo la questione dal punto di vista pratico.
Senza tornare al problema dell'uomo, della sua qualità, del suo essere fondato da una totalità più profonda, non ha senso neppure parlare di scelte politiche, di lago, o quant'altro.
In un certo qual modo, la nostra società ha forcluso (Lacan) l'uomo.

I nostri paesi cresciuti recentemente in fretta e in maniera disorganica, rispetto ai secoli precedenti riflettono la disgregazione dell'individuo che in cerca di una nuova semantica esistenziale finisce annegato tra le alghe (Wozzeck).
 
Davide Bondoni
 
 
 
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