E' in distribuzione il numero di aprile
di Giancarlo Marchesi

E’ in distribuzione in questi giorni il nuovo numero di “Anfo racconta”, il Notiziario della Pro Loco di Anfo, dinamica realtŕ culturale valsabbina. Le venti pagine del periodico sono ricche di notizie e articoli di approfondimento.

E’ in distribuzione in questi giorni il nuovo numero di “Anfo racconta”, il Notiziario della Pro Loco di Anfo, dinamica realtà culturale valsabbina.

Le venti pagine del periodico sono ricche di notizie e articoli di approfondimento che spaziano dai grandi lavori a Rocca d’Anfo alle riflessioni dell’erborista al graffiante corsivo che “Il Tarlo” dedica all’interminabile “telenovela” del lago d’Idro.

Ai lettori di “Vallesabbianews” proponiamo il breve saggio che prende in esame l’insorgenza valsabbina del 1797, che nella primavera di 210 anni fa vide i valligiani coraggiosamente schierati contro le truppe francesi dell’Armée d’Italie e le milizie giacobine della Repubblica bresciana.

1797: l’anno della disperata insorgenza valsabbina

Sono trascorsi 210 anni dal 18 marzo 1797, data fondamentale della storia bresciana. Quel giorno, trentanove illuministi borghesi capeggiati da Giuseppe Lechi s’impadronirono del Broletto, sede dei rettori veneti in Brescia, e istituirono la Repubblica bresciana, Stato autonomo e sovrano. La sollevazione fu opera di una ristretta élite, appoggiata dalle truppe francesi che in quella fase stavano controllando militarmente la città, dopo aver invaso il territorio della Serenissima.

Rovesciato il rappresentante del governo veneto, le nuove autorità s’impegnarono a consolidare il potere in ambito cittadino e a proiettare all’esterno, nell’ampia e variegata realtà provinciale, le idee rivoluzionarie della Repubblica bresciana. A questo proposito organizzarono incontri per fraternizzare con la gente della pianura e mandarono propri rappresentanti per stringere amicizia con la popolazione delle valli.

Nel comprensorio montano la missione si presentò subito difficile: quelle zone erano sempre state fedeli a Venezia ed erano particolarmente legate alla tradizione cristiana. Il 24 marzo la Repubblica bresciana inviò in Valle Sabbia Pietro Randini, facoltoso imprenditore serico nativo di Barghe, e Uberto Uberti, suo stretto collaboratore. La decisione del governo democratico di mandare in valle l’imprenditore di origine sabbina non si rivelò felice: Randini era infatti in pessimi rapporti con don Andrea Filippi, parroco di Barghe. Quest’ultimo, esponente di una delle famiglie più in vista del paese, sul finiredel mese di marzo, si adoperò con tutto il suo prestigio personale per screditare l’avversario presso i compaesani. Com’è facile immaginare, l’accesa rivalità tra il sanguigno don Filippi e il rappresentante della Repubblica bresciana non giovò alla missione del Randini che, infatti, fu costretto a lasciare la valle, dopo essere stato informato che si stava preparando un attentato ai suoi danni.

Nei giorni successivi al frettoloso allontanamento degli agenti del governo bresciano, molte comunità sabbine chiesero la convocazione di un consiglio di valle. Il 27 marzo, giorno fissato per l’assemblea straordinaria, si radunarono a Nozza, oltre ai rappresentanti dei diversi borghi, anche centinaia di valligiani armati. Nel corso di quella animata riunione fu deciso che l’intera valle si sarebbe unita agli insorti della Riviera salodiana e della Valle Trompia per combattere coralmente i rivoluzionari bresciani. Di più: il consiglio deliberò di inviare a Venezia propri rappresentanti per informare la Serenissima sulla situazione venutasi a creare in valle, dopo la nascita della municipalità repubblicana, e per chiedere al senato veneto sostanziosi aiuti economici per finanziare la controrivoluzione. Le autorità veneziane furono lusingate dalla fedeltà della Valle Sabbia, ma non si mostrarono troppo ottimiste sul buon esito militare dell’insorgenza.

Grazie al prezioso sostegno economico giunto da Venezia, la valle poté dotare le proprie truppe di fucili e munizioni per sostenere la rivolta popolare scoppiata contro la Repubblica giacobina. Al comando delle forze sabbine si posero i rappresentanti del ceto dirigente locale: dai figli di Giuliano Materzanini, Giambattista e Francesco, al notaio Comparoni, dal ricco commerciante Giuseppe Passerini all’imprenditore metallurgico Pedrali. Gli esponenti dell’economia valsabbina e i notabili delle professioni furono, non solo solidali con i moti popolari, ma accettarono di porsi alla testa della controrivoluzione, esercitando un ruolo decisivo nelle settimane dell’insorgenza.

Da fine marzo ai primi di maggio 1797, l’intera Valle Sabbia fu percorsa da violentissimi scontri: da una parte le truppe francesi e i loro alleati, gli “illuminati” giacobini bresciani; dall’altra i “reazionari”, contadini, artigiani, imprenditori e preti, fedeli a San Marco e alla tradizione cattolica. A dividerli due opposte visioni della società, dell’economia, della religione.

Ovunque arrivarono i rivoluzionari furono saccheggi, requisizioni forzate, incendi e profanazione di chiese. Per alcuni mesi i sabbini tennero in scacco le forze giacobine, con morti dall’una e dall’altra parte, tanto che ai soldati francesi e alle milizie bresciane furono necessarie molte settimane di aspri scontri per averla vinta sugli insorgenti: solo il 7 maggio schiacciarono la resistenza dei valsabbini, grazie alla forza di un contingente di circa 5.000 uomini.

Nonostante il drammatico epilogo, che vide i borghi di Nozza, Vestone, Barghe e Lavenone messi a sacco e incendiati per rappresaglia, la rivolta popolare sabbina risultò la meglio organizzata e la più determinata delle insurrezioni filovenete che nel Bresciano contribuirono a rendere difficile e agitata la problematica fase di transizione tra l’Antico regine e il nuovo ordine. Tuttavia i contadini, gli artigiani e la gente comune della valle, pur se coraggiosi, non furono in grado di competere con l’esercito professionale francese e le milizie giacobine bresciane.

Molte e complesse furono le ragioni che determinarono la tenace resistenza dei sabbini: per comprendere le motivazioni che spinsero i valligiani a combattere con tutti i mezzi le forze rivoluzionarie, occorre riallacciarsi alla ricca e lunga storia della Valle Sabbia. Una storia in cui svolgono un ruolo fondamentali fattori politici, religiosi, economici e sociali quali: il sentimento di fedeltà a San Marco, l’attaccamento alla tradizione cattolica, le richieste di privilegi e la difesa della propria autonomia, minacciati dalla rivoluzione giacobina. D’altro canto, la valle difese sempre, anche in epoca veneta, le sue prerogative in campo politico, sociale ed economico, specificità che facevano della vallata un corpo separato dalla città, con proprie istituzioni e propri statuti.
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