A rischio razzismo
di Davide Mancini

Racconto di una giornata post elettorale di un valsabbino vissuta nella vicina Verona.

 

 
Martedì dopo le elezioni, è pomeriggio, a bordo di un bus urbano nel centro di Verona è accaduto un fatto secondo me degno di qualche riflessione.
Autobus pressapoco pieno, dal centro del mezzo una signora sulla cinquantina, in piedi, aggrappata ad una manopola, rompe il silenzio generale con un tono di voce che attira l'attenzione della gente attorno a lei, mentre si lamenta con una ragazza bassettina di origine sudamericana, la quale viene accusata dalla suddetta signora di averle calpestato i piedi.
 
Un gesto di stizza che può capitare; fino a quando la signora dà della “cafona” alla ragazza, visibilmente in difficoltà e imbarazzo (il suo italiano non le permetteva di capire, tanto meno di risponderle).
Poi la signora allarga il discorso dicendo “per fortuna che ha vinto la Lega adesso, così ve ne tornate tutti a casa, cafoni!”; come in partenza, il suo discorso è un monologo, poiché la ragazza tiene lo sguardo basso e pieno di imbarazzo.
 
La signora continua il suo comizio nel silenzio generale, fino a che un ragazzo, da qualche metro di distanza, non richiama la sua attenzione con un “Ehi!” e facendole segno di abbassare il tono; gli spettatori quindi rivolgono lo sguardo verso di lui, in modo passivo, esclusa una ragazza più vicino alla signora che rivolgendosi a lei le fa notare che l'autobus è pieno e non c'è ragione di esagerare e di generalizzare ciò che è accaduto.
Ma la signora risponde, tenendo sempre il tono di voce alto, affinché tutti sentano, e se la prende ancora con gli immigrati in generale dicendo che sono dei vittimisti, ma che ora le cose cambieranno; la ragazza incita la signora di calmarsi e abbassare i toni, lei borbotta qualche altra parola e si zittisce.
Fine dell'aneddoto.
 
Il ruolo che più colpisce in questa vicenda, non sono tanto i quattro che partecipano più o meno attivamente, ma è tutta la gente attorno a ciò che accadeva, rimasta spettatrice, e forse lo sarebbe rimasta fino alla fine della scena se il ragazzo e la ragazza non avessero rotto il silenzio.
Il Veneto è capitanato ora dalla Lega Nord, ed è stato un voto a deciderlo, e sicuramente non tutti i leghisti avrebbero tenuto lo stesso atteggiamento da “cafona” e razzista (perché di questo si tratta) della signora del bus, ricordandosi magari delle centinaia di migliaia di veneti emigrati negli ultimi centocinquant'anni, quando non erano la ricca regione che è ora.
 
Ma c'è comunque un rischio in tutto ciò: che quella parte dei cittadini che per vari motivi si trova ad odiare gli immigrati nel loro insieme e a prescindere, si senta legittimata da un partito al cui interno v'è una parte populista e che alimenta l'odio e la paura (sottolineo, una parte, non tutti) a esprimere in modo così aperto e arrogante l'astio per il diverso.
Il silenzio che c'è stato in quest'occasione legittima una persona ad aggredirne (almeno verbalmente) un'altra, forte di un consenso da parte appunto di chi tace.
Con questo non si vuole intendere che tutti gli spettatori la pensassero come la signora, ma il fatto che una ventina di persone se ne siano state zitte, fa pensare che queste abbiano in qualche modo paura di gridare a un'ingiustizia, o che più semplicemente che la cosa non li riguardi.
 
Purtroppo il razzismo non è caratteristico più di un popolo che di un altro, e quando si dice che gli italiani non sono razzisti, questa è un'illusione.
Si tratta di una malattia che non ha limiti né geografici né cronologici; l'antidoto sta nel non permettere che si diffonda, e questo lo si fa uscendo dalla passività e individualismo in cui stiamo scivolando, e questo è anche il dovere minimo per poterci definire una società civile.
 

 

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