A Lumezzane va in scena la ritirata di Russia
Chiama tutti a raccolta davanti alla tragedia della guerra, Marco Paolini, con la sua messa in scena de «Il sergente», dal celebre diario-romanzo di Rigoni Stern che racconta la tragica ritirata di Russia degli alpini.

«Per Mario Rigoni Stern scrivere č stato un anticorpo alla disumanitŕ. Ecco, forse quello che sto cercando č un anticorpo alla disumanitŕ della condizione di spettatore... Č un'illusione credere di essere spettatori di una guerra lontana, perchč quando sei spettatore sei vittima senza saperlo... Senza la coscienza che non puoi chiamarti fuori stai giŕ scivolando in una perdita».

Chiama tutti a raccolta davanti alla tragedia della guerra, Marco Paolini, con la sua messa in scena de «Il sergente», dal celebre diario-romanzo di Rigoni Stern che racconta la tragica ritirata di Russia degli alpini italiani nell’inverno del ’42-’43, stasera al teatro Odeon di Lumezzane (alle 20.45 - il teatro apre alle 20 -, biglietti esauriti, informazioni 030.820162).

E lo fa evocando la forza della parola, quella viva, vera, concreta del dialetto, l’unica che consente di trasformare la memoria in immagine. E di riportare in vita i protagonisti di una tragedia italiana che altrimenti rischiano di restare intrappolati nella pagina.

Eroi che venivano anche dalle nostre valli: Giuaněn con la sua eterna domanda «sergentmagiů, ghé rivarém a bŕita?», Bodei che nella tana di terra in riva al Don, in faccia ai russi, passa le giornate a bollire i pidocchi, Meschini il conducente di muli che chiamato a mescolare la polenta diventa «il dio Vulcano sull’incudine».

Eroi di un’epopea fatta di fatica e sangue, lacrime ingoiate e risate strappate al grottesco quotidiano, in cui il capolavoro, per l’alpino-scrittore di Asiago, non č l’aver composto un romanzo, ma «aver portato via dalla prima linea cinquantacinque uomini, e non averne perso neanche uno».

Marco Paolini, attore di punta del teatro civile italiano (con i suoi Album ha raccontato gli anni ’70 e ’80, nei Bestiari ha narrato lo spaesamento del Nord-Est industriale, tra gli altri lavori ha messo in scena anche in tv le tragedie del Vajont e di Ustica, il processo per il petrolchimico di Marghera) prende per mano gli spettatori e con la forza del linguaggio che diventa immagine li accompagna nella steppa.

Il 10 agosto dell’anno scorso, alle otto del mattino Paolini ha portato «Il sergente» a 2400 metri di quota, al rifugio Bozzi sopra Ponte di Legno, davanti a mille persone intirizzite dal freddo che per assistere allo spettacolo avevano affrontato due ore di cammino.

Questa sera, nella comoditŕ e nel calore del teatro lumezzanese, la fatica, il freddo, la stanchezza saranno evocate dalla parola, dal ticchettio della macchina da scrivere - ma il rumore dei tasti diventa fragore di mitraglia - dietro a cui siederŕ il maestrino di scena Marco Austeri, dalle musiche registrate di Uri Caine, Mario Brunello (Alone di Giovanni Sollima) e dei Mercanti di Liquore (il brano Il sergente nella neve cantato con lo stesso Paolini e contenuto dell’album Sputi del 2004), dalle fotografie di Monika Bulaj.

Non solo un viaggio in una memoria che va fatta vivere soprattutto per chi non c’era, ma «il teatro come addestramento, come istruzione». Per imparare a non arrendersi alla realtŕ e alla stanchezza, per tenere in efficienza l’unica arma che forse ci rimane per rimanere vivi, l’umanitŕ.

Giovanna Capretti
Da Giornale di Brescia
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