10 Maggio 2009, 00.00
Bagolino
Prodotti caseari

Sua maestà il bagoss

di red.

E’ il pi conosciuto fra i formaggi della montagna bresciana, quello pi diffuso, pi copiato e contraffatto, anche se da qualche anno c’ la marchiatura sullo scalzo a proteggerne l’originalit.

E’ il più conosciuto fra i formaggi della montagna bresciana, quello più diffuso, più copiato e contraffatto, anche se da qualche anno c’è la marchiatura sullo scalzo a proteggerne l’originalità.
E’ sua maestà il bagoss, re delle tavole di mezzo mondo quando, capace di impreziosire ricette a centinaia, dalla pizza ai malfatti, sconfinando nella gelateria.
Chi pensa che questo prezioso formaggio possa essere solo uno dei tanti nostrani delle valli bresciane si sbaglia: la sua fama è più che meritata.

Prodotto in circa ottomila forme l’anno ed esclusivamente sui monti che incorniciano Bagolino, lungo la Valle solcata dal torrente Caffaro, il bagoss ha sentori inimitabili, sapori decisamente forti ma mai piccanti, neppure dopo anni di invecchiamento.
Viene considerato migliore quello estivo, prodotto della mungitura di vacche che per un’ottantina di giorni pascolano negli alpeggi del Gaver, libere di brucare l’erba più “fina” e una straordinaria varietà di fiori. Per realizzare una forma, i piccoli allevamenti di bruna alpina uniscono un paio di mungiture e quindi danno inizio ad un processo di caseificazione che si tramanda da secoli, la vera ricetta del suo successo.

La cagliata si ottiene a 37 gradi in circa mezz’ora in un grande paiolo di rame, quindi si procede ad una doppia rottura intervallata da quindici venti minuti di riposo, così da ottenere una grana dalle dimensioni del chicco di riso (più è piccolo e più il formaggio potrà invecchiare).
La seconda cottura è attorno ai 50 gradi, poi tocca alle “fasere” di accogliere la pasta per una prima sgocciolatura, dopo la quale viene aggiunto un po’ di zafferano, pratica che dona alla pasta il caratteristico colore paglierino.

Apposite cantine, la salatura a secco e frequenti pennellate con olio di lino crudo fanno il resto.
Lo si può consumare dopo uno, due o tre anni. Maestri insuperabili nell’utilizzo di questo prezioso formaggio sono un po’ tutti i cuochi valsabbini, che lo sperimentano da tempo.
Basta provare a richiederlo in uno dei tanti ristoranti della zona per sincerarsene. Il “Fabius”, fra Bagolino e il Maniva, con le sue robuste ricette è certo fra i migliori.


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